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Yulya Besplemennova: Hybrid spaces, hyperconnections and how to be successful in nowadays design

Yulya Besplemennova  works as an independent designer and consultant in the field of service and system design, with the special interest in the topic of hybrid space (social spaces existing both in physical and digital realms) and intersecting fields of urban spaces design, community engagement and interactions with technology.

Yulya tell us something more on you and the projects you are working on at the moment

What I do in practice is the user research and engagement, facilitation of co-design processes, communication strategies, service design and general user-centered design consulting applied to various fields. The main project for which I collaborate now is Routes.tips – a user generated content platform to share and improve traveling experiences. Together with Routes Software we also work on other projects like Bergamo Quest and upcoming app with the Augmented Reality technology for the mountains navigation.

Besides that as a part of Interstellar Raccoons I explore the world of transmedial speculative design storytelling for design which goes beyond problem-solving, but into field of strategic context redefinition. And with my latest initiative ZaryaLAB I engage into observation and research of important changes in the spatial organisation and interactions within society brought by the new media and technologies.

As most of all I like learning new things, I also know that it happens much faster when teaching which I consider one of the main directions of my professional development. So I was very happy to be co-tutoring the past Relational Design editions modules and Ceramic Futures 2 and 3 with Politecnico di Milano students.

In your experience as designer, how relational aspects have influenced design processes?

As most of the projects I work on are about networks/collectives/communities of people interacting between themselves, with spaces or technologies, relational aspects are the most important in my work. I have to say that it wasn’t easy in the beginning to understand how to deal with it though, even if I passed the course of services and networks in Polimi, real relational design turned to be much more complex and deep issue to which at first I found myself unprepared.
It was especially evident with #nevicata14 project – a temporary configuration of the pedestrian Piazza Castello in Milan during EXPO-2015, which we approached not just as an architectural project, but a project of the creation of the new place and identity for it mostly in the mind of the citizens. We had to overcome the resistance and the past notion of this space as a road for cars and bring them to see new possibilities of use for it. So the project turned from the architectural installation into the public communication one. But it was very difficult for me as I found myself in need of skills and tools I never had to apply during previous years of studying design. I had to work not as an executioner of some design decisions but as a coordinator of the ongoing immaterial process which at first seemed as not a designer’s work, but instead that was exactly what designer should do nowadays. If you want to learn more about it I have written about my perspective in the blog

What is relational design for you?

Relational design for me is the proper name of design we need nowadays, choosing to emphasize the importance of relational aspects of work. First of all because we cannot go on reducing design to functional or aesthetical problem-solving, Artificial Intelligence is coming after us and will be able to do it all better very soon with the current advances in machine learning. But it will never be able to fully comprehend the complexity of human and their relation to the world around.

Another point is that we live in times when relations between objects or subjects get evidently more important than objects and subjects themselves – it is the relations between users of Facebook or Linkedin, or any other platform, that creates value to the whole network and the platform owners, not the profiles themselves: fully filled in profile of a person that’s not actively engaging with others is worth very little. And this is just an example of the digital social network, but in fact all our life in the hyperconnected world works like that nowadays. Relational design is the design that looks exactly at this aspect and knows how to operate with this real source of value.

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L’importanza del basic design – Intervista a Giovanni Anceschi

Giovanni Anceschi

Chi sei, che cosa fai e dove hai studiato?
La mia carriera è molto colorata, confesso: ho cominciato come artista negli anni Sessanta dell’altro secolo e ho fondato il Gruppo T di arte cinetica e programmata.
Poi, non contento di questa cosa qua, mi sono domandato: qual è l’arte pubblica, l’arte veramente pubblica? È il design. E così sono andato a studiare nella scuola che allora era più attiva e più importante in questo campo, la Hochschule für Gestaltung di Ulm, e lì sono diventato visual designer. Poi sono andato nel terzo mondo e ho lavorato per la società nazionale del petrolio algerino, mi sono occupato di immagine coordinata, ho lavorato in mare in Africa per tre anni, finché sono rientrato in Italia e ho cominciato la mia carriera all’interno delle università, dove sono stato il primo professore di grafica – io ho 74 anni.
Una delle cose, però, che mi hanno sempre estremamente interessato è la pedagogia del design. E il nucleo assolutamente centrale e fondamentale della pedagogia del design è il basic design.

Cos’è il basic design?
È il cuore del cuore della nostra disciplina di designer, è proprio il centro centrale della disciplina. Se vi chiedono «che cosa fa un designer?» potete rispondere con sicurezza: «attribuisce una forma, una configurazione, agli oggetti del mondo che ci circonda».
La cosa per cui ci pagano è la qualità che noi attribuiamo a questa forma.
Un ingegnere, quando gli viene posto un problema – un’automobile ad esempio – pensa all’automobile come uno strumento per muoversi. Un designer ci mette dentro altro. E soprattutto – non sto parlando di uno stylist o di un formalista – deve fare molta attenzione alla qualità che assumono le forme degli oggetti. Guardiamo un po’ la qualità formale degli oggetti che abbiamo intorno: è molto molto bassa. Il nostro compito essenziale è quello di aumentare questa qualità.
Pensiamo a un sito: ci sono i siti belli e brutti; ci sono i siti che hanno una qualità interattiva e sofisticata, dove tu ci stai dentro bene: ecco, questa è la nostra competenza e il basic design insegna proprio a disegnare bene, a disegnare qualitativamente bene.

Perché studiare basic design?
In base alla mia esperienza, gli studenti che hanno fatto basic design diventano completamente diversi da quelli che non l’hanno fatto. Al Politecnico di Milano c’era questa situazione: c’erano delle sezioni in cui si studiava il basic design e poi c’erano dei corsi che non l’avevano, perché non c’era la possibilità di coprirle. Beh, c’era una bella differenza: i ragazzi che avevano fatto basic design, dopo aver frequentato il corso, avevano acquisito un qualcosa di assolutamente imbattibile che definirei come “sicurezza formale”.
Voglio raccontarvi un aneddoto – alla mia età gli aneddoti sono all’ordine del giorno. È un aneddoto che riguarda l’ingresso del basic design nelle università: ero professore ed ero membro del Dottorato di ricerca in Design; si presentò un dottorando che felicemente propose di fare il suo dottorato sul basic design. Allora accadde una cosa divertente: andai in riunione con tutti gli altri professoroni e presentai questa idea, spiegando che sarebbe stato parecchio interessante fare uno studio sul basic design. E fu a quel punto che guardai i miei colleghi e vidi che tutti avevano quella faccia che hanno solitamente i ragazzi quando vengono interrogati, quella faccia sfuggente con gli occhi che vanno un po’ di qua e un po’ di là… Rimasi scioccato, perché significava che non ne sapevano niente. Naturalmente dissero di sì, perché non sapendone niente non potevano certamente avere argomenti a sfavore. Finita la riunione uno di questi prof, molto simpatico, molto diretto, mi prese da parte e mi disse in milanese «ma cosa l’è sto basic design?». E così passai una buona ventina di minuti a raccontare, a parlare del fatto che il basic design comincia col Bauhaus, e che poi ci sono Klee e Kandinsky e poi Maldonado e così via. E alla fine di questo discorso, con gli occhi veramente brillanti, lui esclamò: «Ah! Ho capi’! L’è il mio stile!». Ecco, se veramente, veramente, dovessi dire cos’è l’esatto contrario del basic design la risposta sarebbe lo stile personale. Questo per raccontarvi com’è la situazione degli studi e della conoscenza di questa componente assolutamente essenziale del design che è il basic design.

Quali sono le tre invenzioni che secondo te hanno cambiato il mondo?
Sicuramente non sono tre, sono molte di più. Una cosa che non si dice spessissimo in questi casi, un’invenzione esemplare, è l’invenzione del sistema a caratteri mobili di Gutenberg. Se vogliamo, l’invenzione della scrittura stessa. E poi adesso tutte ‘ste robe elettroniche.

Tre cose che salveresti del mondo vecchio e tre cose che ti piacciono del mondo nuovo?
Devo confessare – forse sarà nella mia prospettiva un po’ da vecchietto – che io non vedo questa totale svolta tra i due mondi. Tutte quelle cose che sembrano delle terribili fratture in realtà non sono servite ad altro che a far proseguire, in realtà sono state solo delle grandi metamorfosi. Le cose adesso si sono trasformate e l’unica cosa che noi dobbiamo cercare di fare è aderire a queste metamorfosi.

I tre libri assolutamente da non perdere?
Non bisogna leggere solo tre libri, bisogna leggerne cento, duecento… Quasi non siamo – mi ci metto nel mezzo anche io – più capaci di leggere i libri.

Che cos’è, per te, Relational Design?
Relational Design, adesso, comincia ad avere un significato ormai stabilito: a me piace molto metterlo in collegamento con un certo tipo di cultura e di conoscenze che io ho da tanti anni. In particolare, io sono stato allievo di un filosofo importantissimo italiano, che adesso non viene più tanto considerato, che si chiama Enzo Paci. Enzo Paci era un filosofo relazionista e ha scritto un libro intitolato “Tempo e relazione” (il tempo è un altro tema centrale per me, per i miei interessi): trasferire il discorso delle relazioni nel mondo del progetto, del design, consiste nel progettare le relazioni fra le persone, cioè, gli oggetti, gli artefatti, i comunicati, tutto quello che viene progettato viene progettato in quanto è materializzazione delle relazioni.

Vogliamo conoscerti meglio: vuoi aggiungere altro?
Sono affetto attualmente da una cosa un po’ sgradevole che è l’insonnia e la mia dottoressa mi ha proposto di fare un corso di canto terapeutico… e allora io adesso, tutte le settimane, vado a cantare.

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Pratiche Relazionali nell’Arte – Un pomeriggio all’atelier Mendini

di Salvino Daniele Cardinale

Alessandro Mendini: rinnovatore del design italiano, intellettuale, autore di scritti. Ha lavorato per aziende del calibro di Alessi, Cartier, Swatch, Swarovski. Al suo nome è subito accostato quello della poltrona Proust (esposta in diverse collezioni permanenti). Per la sua attività di designer ha ricevuto numerosi premi, tra i quali – per due volte – l’importante compasso d’oro. Se si deve descrivere lo sviluppo del design italiano del ‘900 non si può non citarlo. Punti forza della persona (e dell’architetto) sono la disponibilità a mettersi in gioco, una personalità giocosa e un impegno organizzativo e divulgativo. Il mondo di Mendini è pieno di colori, di schizzi, di scritti, di personaggi.

Schizzo della poltrona Proust.
Schizzo della poltrona Proust

Nel parlare di icone del design contemporaneo, dinanzi a Mendini e ai suoi progetti ci si confronta con un mondo pieno di sorprese e giochi. L’opera di Mendini si misura con la totalità del processo creativo: dal particolare al generale, dall’oggetto di design al grande edificio, dal cucchiaio alla città; questi sono i suoi confini. Nel 2000 ha fondato insieme al fratello Francesco l’Atelier Mendini: è qui che ci ha accolti  scorso 16 febbraio, in occasione del workshop milanese di Pratiche Relazioni nell’Arte, uno dei moduli del Master Relational Design. Dopo l’accoglienza di rito, Mendini ci porta in giro per l’atelier e, ogni qualvolta il suo sguardo incontra un’opera, un oggetto, uno schizzo, egli si sofferma a spiegarci di cosa si tratti, com’è stato pensato e se è esposto da qualche parte. Oltre a far da cicerone all’interno del suo atelier-museo, il designer ci regala anche pillole di saggezza concernenti il suo lavoro e ci spiega l’importanza di avere persone provenienti da varie parti del mondo all’interno di uno studio: «…E, se il committente non sa parlare inglese, vai a spiegargli in coreano quello che voglio fare». Dopo di ciò passiamo a un altro argomento importante: il suo libro Scritti di domenica, fresco di pubblicazione per Postmediabooks. Lo presenta subito come un libro nato dal suo bisogno di trasmettere delle sensazioni, tramite una serie di scritti.

D: Perché il libro si intitola “Scritti di domenica”? R: Perché devo scrivere quando sono da solo, non sono capace di mettermi lì seduto in atelier e scrivere mentre si sta lavorando anche ad altro,  devo scrivere in una situazione decentrata, per esempio dopo lo yoga. Devo passare a una dimensione più rallentata del cervello. Quindi scrivo di domenica, disegno anche di domenica (disegni che sono separati dagli scritti, alcuni dei quali sono presenti nel libro, N.d.A.). Alcuni dei disegni a cui sto lavorando in questo periodo (che lui chiama “mostre”, N.d.A.) sono disegni da tre ore.

La copertina del libro
La copertina del libro

D: Questi disegni c’entrano con quello che sta facendo per ora? R: No. Io faccio schizzi e da quelli, trasformandoli in cose, poi si arriva ad alcuni lavori. Però sì, tutti i miei lavori partono dagli schizzi e dagli scritti.

D: Lei si occupa anche di altri autori, li descrive, e descrivendoli fa sempre emergere un valore. Qual è il suo rapporto con la nuova generazione di designer e architetti? R: Vengono spesso a trovarmi vari personaggi della scena contemporanea e io prendo questa cosa molto seriamente. Se uno viene da me non è che gli dico buongiorno e basta. Allora si stabiliscono dei contatti – che sono utilissimi, tra l’altro. Queste persone sono di tutti i tipi: dai megalomani, come Karim Rashid, a persone molto introverse, con le quali la conversazione si trasforma in una specie di psicoanalisi. Spesso mi viene richiesto un parere scritto, per una mostra o una rivista. Quando scrivi per una persona, automaticamente stabilisci un feeling, una specie d’innamoramento che ti porta a pensare in quel momento che quello che stai facendo è importantissimo. Scrivere diventa allora una forma di dedizione.

D: Secondo lei a cosa serve l’arte? R: L’arte sul piano pratico non serve a niente e al contempo, secondo me, è una delle cose più importanti, perché il fatto di creare espressione senza nessun collegamento all’utilità le dà una chance di prospettive antropologiche, spirituali, legate al futuro, che nessun’altra attività – anche para-artistica, come l’architettura o il design – riesce ad avere. L’arte è il punto più avanzato del pensiero, cosi come la filosofia.

D: Quindi questo libro di cosa tratta? R: Io ho fatto due libri di scritti, questo qui, raccoglie gli ultimi dieci anni di scritti e li raccoglie in fila, in ordine cronologico, però organizzati anche un po’ per settori: c’è il lavoro fatto per le riviste, il lavoro fatto per le persone, poi il lavoro fatto a commento di progetti di architettura, di design; poi ancora altri scritti teorici, sull’architettura, sull’arte, sul design e anche dei pensieri più generali.

D: Il suo libro quindi ha anche un carattere di manifesto? R: No, c’è qualche piccolo scritto che ha la formula del manifesto, ma il libro non ha la struttura del manifesto, il libro è un “patchwork”. Finite le domande, sul libro e su altri argomenti, ci accompagna verso l’uscita. Lungo il percorso,  passando accanto ad una poltrona Proust modello Magis, interamente in plastica (“la versione da giardino”, come l’ha definita lui), ci concede una foto: questa volta non è lui a sedere sull’iconica Proust ma noi, mentre lui ci sta accanto.

Io e Alessandro Mendini
Io insieme ad Alessandro Mendini

 

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Matera Wonder Light – Quello che resta di un gioco: i nodi, le reti, i legami

Il Matera Design Weekend che si è appena concluso è stato una festa bellissima a cui abbiamo preso parte anche giocando.

Ecco il racconto di questa esperienza nelle parole di Valentina Novembre:

Un sabato di Dicembre, una serata fredda, Matera e il design weekend. Un’idea, un esperimento, 100 maschere e un gioco. 
Entriamo in un locale super affollato da umanità varia: giovanissimi, giovani e diversamente giovani che bevono, ballano, sudano.
 Al centro della sala un tavolo tutto per noi, Ale tira fuori dalla sua valigetta da medico della mutua maschere e colori, io dalla mia shopper di tela una locandina e delle forbici.

Mettiamo al centro di quel contesto degli elementi di rottura.
 Che ci fanno carta, colori e forbici tra Moscow Mule, tacchi e brillantina (scusate il tocco vintage)?

Noi siamo lì per Matera Wonder Light, il party del Matera Design Weekend.
Un gioco che prevede dei passaggi ben definiti:

– prendi una maschera
 – fatti un selfie e ricorda il nome della tua maschera (#lunanera1) e #wonderlightmatera 
- vuoi trovare amici luminosi? fatti un giro su Instagram e cerca #wonderlightmatera 
- c’è qualcuno che ti interessa? qualcuno con cui vuoi giocare? commenta il suo selfie con l’hashtag della tua maschera e se lui risponde “Wonder” è fatta, potete incontrarvi.

La gente incuriosita inizia ad avvicinarsi, il primo ragazzo timidamente inizia a colorare una maschera.
 La gente va e viene, prende una maschera e la posa, si scatta una foto, chiama gli amici. 
Quel tavolo al centro del locale inizia a essere centro di relazioni, incontri, scambi di battute tra gente sconosciuta e iniziano i selfie di gruppo con gente che non si è mai vista prima. 
Al tavolo si siede un bambino e Stefano Mirti, uno colora una maschera, l’altro inizia a disegnare.
 Intorno l’umanità varia continua a muoversi.
 Mi estraneo un attimo e guardo dall’alto quello che sta avvenendo intorno a quel tavolo. Intorno a quel tavolo si parla, si ride, ci si guarda, ci si incontra. Intorno a quel tavolo si colora, si disegna. Intorno a quel tavolo si creano delle relazioni. 
Le maschere diventano fili sottili che connettono, che avvicinano, che annullano distanze.
 Instagram piano piano inizia a riempirsi di maschere, timidamente.
 Non si innesca il gioco “dating online” ma poco importa perché la maschera diventa elemento fisico per conoscersi, non serve mediazione del mezzo in questo caso. 
Instagram, invece, diventa spazio accogliente per testimoniare il momento e per affermare la presenza: “ci sono anche io, sto giocando con voi, mi sto divertendo, voglio dirlo a tutti”.
 Anche chi non è a Matera è intorno a quel tavolo perché la maschera è filo sottile ma lunghissimo, la rete è fatta di connessioni che magicamente si compongono.

Io e Alessandro siamo stati chiamati a mettere su un gioco carino per un party, partendo da un’intuizione avuta da Ale. 
Per noi questo gioco è stata l’occasione per osservare le dinamiche che possono svilupparsi in un contesto relazionale ampio e variegato e capire in che modo le interazioni tra le persone si sviluppano.
 Ci siamo posizionati in uno spazio fisico per spostarci in uno spazio online, abbiamo utilizzato degli espedienti per agganciare chi ci girava intorno, abbiamo dato delle regole per capire quanto abbiamo voglia di seguirle e quanto invece è meglio affidarsi alla spontaneità, abbiamo dato uno scopo al gioco (incontrare altre persone) per osservare che molto spesso anche non avere uno scopo può essere interessante.

Un giochino carino in un locale a Matera ci ha portato a farci tante domande e a darci qualche prima risposta.

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Relational Design meets Matera Design Weekend

Continua il tour del Master Relational Design in giro per l’Italia!
Ospiti degli amici di Casa Netural, saremo nella città dei Sassi in occasione del Matera Design Weekend il giorno 12 Dicembre.

Abbiamo chiesto ad Andrea Paoletti, founder di Casa Netural, di spiegarci la filosofia e gli obiettivi che stanno dietro al festival:

Che cos’è Matera Design Weekend?
E’ un festival di design animato da un fitto programma di eventi collaterali, workshop, incontri, il tutto in un clima informale e di festa. Abbiamo scelto vari luoghi della città come location, luoghi che fanno parte integrante della narrativa di Matera Design Weekend ponendosi come paesaggi ispirazionali per relazioni, scambi ed eventi.

Questa manifestazione è stata fortemente voluta da Casa Netural, perché?
Noi lavoriamo con le sperimentazioni. Il mondo del design è sempre stato percepito come qualcosa lontano dal nostro territorio, allora la sfida è stata quella di creare un grande momento zero in cui invitare designer amici, designer professionisti, e lanciare una call per selezionarne altri, farli stare tutti insieme in una grande festa per far succedere delle belle cose. Inoltre abbiamo aperto l’invito ad aziende locali a partecipare e a sostenere l’iniziativa e ad enti locali ad osservare cosa succederà. Domenica 13 alla sera e nei giorni successivi capiremo veramente cosa sarà successo.

Che ruolo avranno all’interno di questo evento Stefano Mirti (direttore di Relational Design) e Alessandro Carlaccini (studente della seconda edizione del master)?
Stefano Mirti durante un momento del festival, il Social Cocktail, ci racconterà della sua esperienza come Head of Social Media Team di Expo Milano 2015 e del Grande romanzo collettivo su Instagram. Parlerà anche di scuola e formazione con i progetti educational ideati e sviluppati in partnership con l’Accademia Abadir: Relational Design e Design 1o1.

Oltre a questo, Stefano ci ha aiutati a delineare il festival nella versione definitiva che “andrà in scena”.

Invece Alessandro, insieme a Valentina Novembre, altra studentessa di Relational Design, sperimenterà con un gran pubblico il suo progetto di tesi che è già stato rinominato Matera Wonder Light.

Conferenza stampa e opening
Venerdì 11 dicembre – ore 17.00
Cappella Malvinni-Malvezzi, Palazzo Gattini, Piazza del Duomo, 13 / Via Muro – Matera

Relational Design meets Matera Design Weekend
Sabato 12 dicembre – dalle ore 18.30 alle ore 20.00
Casa Diva – Vico Giumella, 3 – Matera

Vi aspettiamo in tanti per questo festival sul design dal clima informale.
Noi ci saremo! Per informazioni: www.materadesign.itwww.relationaldesign.it

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Le storie e i risultati finali degli studenti del Master Relational Design

Sabato scorso si è svolto il secondo Master Degree Show di Relational Design nella splendida location dell’Accademia Abadir di Catania.

Adesso vogliamo presentarvi le tesi degli studenti che hanno animato quest’appuntamento unico con la presentazione dei loro progetti finali. Tanti gli spunti e le nuove idee progettuali che abbiamo visto. Scopriamole insieme!

Candice BarrettNeo Folk. Social media and the mutating food & agricultural industry in Italy – Relatore: Stefano Mirti

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A global movement has been forming calls for a return to more traditional, healthful and sustainable food and agricultural practices. This phenomenon is accentuated particularly in folk communities whom have special ties to their land. An important aspect that has helped transform and progress this trend, typically referred to as “foodism”, is the emergence of new media, particularly social media. The analysis of this thesis will try to prove that Italy, through new media, has become a main contender in promoting a return to more local, traditional and sustainable agricultural practices that can be used as a model for communities globally.

Silvana CarboneQualcosa Succed3Cinque regole per un manuale tra spazio pubblico e social network – Relatore: Marco Lampugnani

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Siamo ormai sempre più vittime inconsapevoli di gesti social, quali selfie (che uccidono più degli squali) e condivisioni ossessivo compulsive, di cliché dai quali è difficile scappare. Per questo risulta necessaria un’indagine su come queste dinamiche possano influenzare e migliorare la fruizione dello spazio pubblico. Attraverso l’analisi di alcuni casi studio, l’obiettivo della tesi è quello di produrre un piccolo manuale non esaustivo delle 5 buone pratiche da mettere in atto per la progettazione di uno spazio pubblico, unitamente ai social network, visti come un moderno controspazio capace di rafforzare la propria identità e l’appartenenza alla … community.

Alessandro CarlacciniA little WonderIpotesi per un dispositivo relazionale sospeso nel tempo – Relatore: Alessandro Busseni – Correlatori: Andrea Amichetti e Carlo Amico

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L’intento principale è ipotizzare e progettare uno strumento in grado di far emergere le relazioni tra rito, città e persone, creando un sistema integrato tra rievocazione storica offline e community online. Attraverso tre casi studio, legati alle rievocazioni storiche, l’obiettivo della tesi è l’ideazione di uno strumento capace di far interagire le comunità locali attive con una community online, creando un’esperienza di scambio e condivisione allargata. Possono i due mondi, quello online e quello offline, interagire attraverso questo strumento?

Simone GadaletaComunicare la carne di Fassone dal web alla vita realeLa carne piemontese da gioiello poco noto a fenomeno mondiale – Relatore: Alessandro Mininno

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Oggi il cibo è tante cose: nutrizione, informazione, marketing, pubblicità, diritto, ecologia e molto altro ancora, ma soprattutto è comunicazione. Com’è cambiato, dunque, il modo di comunicare il Food? Diventato uno dei motori principali dell’economia digitale, il Food viene narrato, disegnato, raffigurato, fotografato, filmato. Tra i brand vince chi produce qualità, chi è in grado di governarla, e riesce a dare valore al proprio prodotto attraverso il racconto. La competizione si gioca in gran parte sulla comunicazione.

Valentina NovembreCittà: rappresentazione visiva di uno spazio narrativo – Relatore: Stefano Mirti

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La rappresentazione visiva di qualcosa è un atto che in qualche modo da senso a quel qualcosa? La partenza di questa ricerca è un interrogativo sul tema della rappresentazione visiva degli spazi urbani per capire in che maniera il modo di rappresentare una città va a dare senso alla città stessa. Oggi i Social Media hanno modificato il rapporto dell’uomo con lo spazio urbano, l’oggetto della rappresentazione è cambiato, ed anche la sua tensione verso il bello e il senso. Tutto questo che implicazioni può avere sulle città stesse?

Elena ScquizzatoTutti insieme googlissimamente. Come internet ha cambiato il modo di pensare e raggiungere le destinazioni turistiche. Nuovi paradigmi di comunicazione del territorio in funzione di una struttura ricettiva indipendente: Ca’ de Memi come nodo di Relazione Sociale – Relatore: Alessandro Mininno

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Come Internet e i Social Media hanno modificato il viaggio, i territori, i servizi per il turismo? Come progettare la propria offerta e la propria struttura in base alle nuove dinamiche sociali e di Rete? Tra ricerca teorica e progetto di strategia la tesi indaga nuovi scenari di comunicazione del territorio in funzione della promozione di una struttura ricettiva indipendente.

Tra folk design e storytelling, spazio relazionale e digital marketing, foodism e community online, anche questa edizione del master si è conclusa. Vi diamo, dunque, appuntamento per la terza edizione del Master Relational Design che partirà a febbraio 2016 – Info: www.relationaldesign.it

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Ripensare il design – 5 storie di persone che hanno cambiato le regole

Eccoci al secondo evento organizzato questo mese dal Master Relational Design per affrontare un tema importante: come cambia la figura del progettista nel mondo contemporaneo.

Cosa significa ripensare il design? Forti dell’esperienza di due anni di master siamo pronti a lanciare la terza edizione a Febbraio 2016.
Il mercato del lavoro si evolve con ritmi serrati, ciò che veniva chiesto ai progettisti solo 5 anni fa ora è cambiato: si tratta quindi di trovare nuove regole e nuovi modelli professionali e di formazione. Con questa consapevolezza vogliamo dare il nostro contributo a definire nuovi scenari futuri.

Da qui nasce il titolo dell’evento a cui vogliamo invitarvi:

Ripensare il design
5 storie di persone che hanno cambiato le regole
Giovedì 12 novembre – ore 19.00
c/o Spazio Yatta! – Viale Pasubio, 14 – Milano

Evento a Milano, gratuito – Iscrizioni: ripensareildesign.eventbrite.it
Benvenuto ore 19.00 – Inizio talk ore 20.00

5 storie di persone che hanno fatto delle scelte interessanti e controcorrente nel loro ambito lavorativo, contribuendo alla creazione di grandi progetti per la comunità e per il loro settore.

Durante l’incontro, insieme a Marco Lampugnani – architetto, docente e  progettista #nevicata14 – avremo la possibilità di ascoltare le storie di:

  • Andrea Amichetti, founder di Zero, uno fra i primi e principali portali e magazine di eventi in Italia
  • Diana Del Vecchio, executive manager di Eurochocolate
  • Lucia Giuliano, direttore dell’Accademia di Design e Arti Visive Abadir e del Master Relational Design
  • Stefano Mirti, Head of Social Media Team per Expo Milano 2015, founder di IdLab e direttore del Master Relational Design
  • Simone Molteni, direttore scientifico di LifeGate, founder del progetto Impatto Zero e responsabile del progetto LifeGate Energy, Editorial Director di Banzai/Doing per Expo Milano 2015

L’evento è organizzato dal Master Relational Design e IdLab, con il supporto del Comune di Milano, Accademia di Design e Arti Visive Abadir e Yatta! Fai Da Noi – Per informazioni: www.relationaldesign.it