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Basic Design: nuovo workshop, nuovo scenario. Milano.

Nuovo workshop, nuovo scenario. Milano.

C’è chi giura di odiarla senza ritegno, ma di amore ne riceve anche incondizionatamente dai suoi ammiratori. Mi piace pensare che tra chi si lascia incantare e chi si convince di detestarla non c’è nulla in comune, se non il far parte di due facce della stessa medaglia. Per nulla arrendevole, Milano deve essere decodificata, bisogna capirne la cromia, il flusso, intuirne la “primadonna”, analizzare la storia che può esserci dietro una singola immagine nel momento in cui la scomponi. Insomma Milano è la sintesi di questo nostro nuovo percorso nel mondo del Basic Design.

Conosciamo il nostro nuovo docente appena arrivati. Un attivissimo Giovanni Anceschi ci attende a Base Milano, dove lavoreremo per due giorni prima di spostarci nello studio di IdLab passando per una breve sosta al Museo del 900.

Un caffè per tutti e poi cominciamo con la lezione… anzi no.  Non cominciamo con nessuna lezione, cominciamo con la pratica, con il primo dei 5 esercizi legati a grandi maestri del design.

La Scioltezza gestuale è il primo.

Ideato da Johannes Itten al Bauhaus, prevede che l’allievo si confronti con un grande foglio di carta e da li si faccia guidare da movimenti eleganti del suo braccio per creare immagini sinfoniche, utilizzando pastelli bianchi e pastelli neri.

Tomàs Maldonado è l’inventore della nostra seconda prova, Antiprimadonna.

Cartoncini colorati vengono tagliuzzati per tutta la stanza, il pavimento sembra un arlecchino in costruzione, c’è odore di colla e rumori di fogli.Non è facile autovalutarci ma alla fine siamo contenti dei nostri lavori e dalle parole che seguono, ci mettiamo in discussione e il risultato è il riconoscimento della soggettività.

Il Secondo giorno ci accoglie il Museo del 900, quarto piano, Arte cinetica. Giovanni Anceschi ci guida tra aneddoti della sua vita, personaggi che hanno segnato la storia del design e dell’arte di quegli anni con piccoli racconti.

Terzo giorno, sempre a Base diamo il via ad una nuova conversazione a proposito della nostra ultima esercitazione, Influenzamento dell’ordine di lettura, pensata dal nostro stesso docente. I risultati sono a volte furbi, a volte comici, a tratti indecifrabili, spesso strani.

Cominciamo a capire il significato di ciò che stiamo facendo, iniziamo a divertirci.

Il pomeriggio lo dedichiamo a Josef Albers, il quale ha escogitato il nostro nuovo esercizio, 4 colori con 3 colori, 3 colori con 4 colori.

Davanti ai nostri computer ci interroghiamo su cromie e tonalità, lavoriamo meticolosamente per ottenere risultati speriamo positivi, carichiamo i nostri lavori sulla community ed incrociamo le dita.

Sabato e Domenica, quarto e quinto giorno, siamo in via Cascia 6 nello studio di Idlab; ci adattiamo alla nuova location e cominciamo il nostro ultimo esercizio di cui la paternità va riconosciuta a Bruno Munari e Giovanni Anceschi, Narrazione per immagini.

Avete mai pensato, guardando una foto, quale storia stesse raccontando? Nella sua interezza o in frammenti differenti, chi erano quelle persone e cosa le aveva portate ad essere fermate in quell’esatto momento?

Ecco in parte quest’ultimo esercizio tenta di rispondere a queste domande sfruttando la nostra fantasia per creare storie diverse da una storia unica. Tagliando, riassemblando e riadattando secondo il nostro piacere, ciò che vogliamo dire, con una voce nostra, personale che è la base intrinseca di ogni progetto.

Stiamo per concludere, Giovanni inizia solo adesso quella che sarebbe dovuta essere la nostra lezione introduttiva e che invece si rivela essere la conclusione perfetta per trovare il significato che hanno avuto i nostri lavori degli ultimi giorni.

Siamo pronti a lasciare anche Milano; non io, io ci vivo. Guardo le facce dei miei compagni, abbiamo tanto discusso su ciò che è e ciò che non è in questi giorni. La base alla base del Basic Design. Senza oggettività. Appunto, due facce della stessa medaglia.

Bruna Crapanzano

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L’importanza del basic design – Intervista a Giovanni Anceschi

Giovanni Anceschi

Chi sei, che cosa fai e dove hai studiato?
La mia carriera è molto colorata, confesso: ho cominciato come artista negli anni Sessanta dell’altro secolo e ho fondato il Gruppo T di arte cinetica e programmata.
Poi, non contento di questa cosa qua, mi sono domandato: qual è l’arte pubblica, l’arte veramente pubblica? È il design. E così sono andato a studiare nella scuola che allora era più attiva e più importante in questo campo, la Hochschule für Gestaltung di Ulm, e lì sono diventato visual designer. Poi sono andato nel terzo mondo e ho lavorato per la società nazionale del petrolio algerino, mi sono occupato di immagine coordinata, ho lavorato in mare in Africa per tre anni, finché sono rientrato in Italia e ho cominciato la mia carriera all’interno delle università, dove sono stato il primo professore di grafica – io ho 74 anni.
Una delle cose, però, che mi hanno sempre estremamente interessato è la pedagogia del design. E il nucleo assolutamente centrale e fondamentale della pedagogia del design è il basic design.

Cos’è il basic design?
È il cuore del cuore della nostra disciplina di designer, è proprio il centro centrale della disciplina. Se vi chiedono «che cosa fa un designer?» potete rispondere con sicurezza: «attribuisce una forma, una configurazione, agli oggetti del mondo che ci circonda».
La cosa per cui ci pagano è la qualità che noi attribuiamo a questa forma.
Un ingegnere, quando gli viene posto un problema – un’automobile ad esempio – pensa all’automobile come uno strumento per muoversi. Un designer ci mette dentro altro. E soprattutto – non sto parlando di uno stylist o di un formalista – deve fare molta attenzione alla qualità che assumono le forme degli oggetti. Guardiamo un po’ la qualità formale degli oggetti che abbiamo intorno: è molto molto bassa. Il nostro compito essenziale è quello di aumentare questa qualità.
Pensiamo a un sito: ci sono i siti belli e brutti; ci sono i siti che hanno una qualità interattiva e sofisticata, dove tu ci stai dentro bene: ecco, questa è la nostra competenza e il basic design insegna proprio a disegnare bene, a disegnare qualitativamente bene.

Perché studiare basic design?
In base alla mia esperienza, gli studenti che hanno fatto basic design diventano completamente diversi da quelli che non l’hanno fatto. Al Politecnico di Milano c’era questa situazione: c’erano delle sezioni in cui si studiava il basic design e poi c’erano dei corsi che non l’avevano, perché non c’era la possibilità di coprirle. Beh, c’era una bella differenza: i ragazzi che avevano fatto basic design, dopo aver frequentato il corso, avevano acquisito un qualcosa di assolutamente imbattibile che definirei come “sicurezza formale”.
Voglio raccontarvi un aneddoto – alla mia età gli aneddoti sono all’ordine del giorno. È un aneddoto che riguarda l’ingresso del basic design nelle università: ero professore ed ero membro del Dottorato di ricerca in Design; si presentò un dottorando che felicemente propose di fare il suo dottorato sul basic design. Allora accadde una cosa divertente: andai in riunione con tutti gli altri professoroni e presentai questa idea, spiegando che sarebbe stato parecchio interessante fare uno studio sul basic design. E fu a quel punto che guardai i miei colleghi e vidi che tutti avevano quella faccia che hanno solitamente i ragazzi quando vengono interrogati, quella faccia sfuggente con gli occhi che vanno un po’ di qua e un po’ di là… Rimasi scioccato, perché significava che non ne sapevano niente. Naturalmente dissero di sì, perché non sapendone niente non potevano certamente avere argomenti a sfavore. Finita la riunione uno di questi prof, molto simpatico, molto diretto, mi prese da parte e mi disse in milanese «ma cosa l’è sto basic design?». E così passai una buona ventina di minuti a raccontare, a parlare del fatto che il basic design comincia col Bauhaus, e che poi ci sono Klee e Kandinsky e poi Maldonado e così via. E alla fine di questo discorso, con gli occhi veramente brillanti, lui esclamò: «Ah! Ho capi’! L’è il mio stile!». Ecco, se veramente, veramente, dovessi dire cos’è l’esatto contrario del basic design la risposta sarebbe lo stile personale. Questo per raccontarvi com’è la situazione degli studi e della conoscenza di questa componente assolutamente essenziale del design che è il basic design.

Quali sono le tre invenzioni che secondo te hanno cambiato il mondo?
Sicuramente non sono tre, sono molte di più. Una cosa che non si dice spessissimo in questi casi, un’invenzione esemplare, è l’invenzione del sistema a caratteri mobili di Gutenberg. Se vogliamo, l’invenzione della scrittura stessa. E poi adesso tutte ‘ste robe elettroniche.

Tre cose che salveresti del mondo vecchio e tre cose che ti piacciono del mondo nuovo?
Devo confessare – forse sarà nella mia prospettiva un po’ da vecchietto – che io non vedo questa totale svolta tra i due mondi. Tutte quelle cose che sembrano delle terribili fratture in realtà non sono servite ad altro che a far proseguire, in realtà sono state solo delle grandi metamorfosi. Le cose adesso si sono trasformate e l’unica cosa che noi dobbiamo cercare di fare è aderire a queste metamorfosi.

I tre libri assolutamente da non perdere?
Non bisogna leggere solo tre libri, bisogna leggerne cento, duecento… Quasi non siamo – mi ci metto nel mezzo anche io – più capaci di leggere i libri.

Che cos’è, per te, Relational Design?
Relational Design, adesso, comincia ad avere un significato ormai stabilito: a me piace molto metterlo in collegamento con un certo tipo di cultura e di conoscenze che io ho da tanti anni. In particolare, io sono stato allievo di un filosofo importantissimo italiano, che adesso non viene più tanto considerato, che si chiama Enzo Paci. Enzo Paci era un filosofo relazionista e ha scritto un libro intitolato “Tempo e relazione” (il tempo è un altro tema centrale per me, per i miei interessi): trasferire il discorso delle relazioni nel mondo del progetto, del design, consiste nel progettare le relazioni fra le persone, cioè, gli oggetti, gli artefatti, i comunicati, tutto quello che viene progettato viene progettato in quanto è materializzazione delle relazioni.

Vogliamo conoscerti meglio: vuoi aggiungere altro?
Sono affetto attualmente da una cosa un po’ sgradevole che è l’insonnia e la mia dottoressa mi ha proposto di fare un corso di canto terapeutico… e allora io adesso, tutte le settimane, vado a cantare.