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Alessandro Mininno – Quando i social media sono diventati mass media

Alessandro Mininno è co-founder e CEO di Gummy Industries, agenzia di digital brand design, partner di Talent Garden, insegna a Digital Accademia e in diversi Master universitari (Università Cattolica di Milano, Bocconi, Università Cattolica di Brescia) ed è stato anche nostro docente, insieme a Fabrizio Betone, per i corsi Community Design e Comunicare il Territorio.

Quest’anno a Pane Web e Salame avete invitato a parlare i supercattivi di internet, tra cui i creatori di community di grande successo come Lercio, La fabbrica del degrado e Il Signor Distruggere, cosa possiamo imparare da questo tipo di approccio alla comunicazione?

Di colpo, senza che ce ne accorgessimo, i social media sono diventati mass media. Pervasivi, potenti e soggetti a distorsioneLe persone non hanno ancora capito come interpretarli e verificarne i contenuti.
Dobbiamo imparare a comunicare a un pubblico ampio, pop, trasversale – sapendo che non capirà, che crederà alle bufale e che condividerà i contenuti solo se parliamo alla pancia (e non alla testa).

Community, brand e gestione delle relazioni digitali: un top e un flop del 2016

Direi che il flop dell’anno è la campagna per il SI al referendum. Un budget di comunicazione di circa 1 milione e… hanno perso.

Top: tutta la comunicazione di Netflix, in particolare quella di Narcos https://www.facebook.com/pg/netflixitalia/videos/?ref=page_internal
ma anche antonio caprarica per the crown https://www.facebook.com/netflixitalia/videos/1295477930497509/
utilizzano i contenuti in modo nuovo e super potente.

In attesa della nuova Click this week, ci regali un paio di link dai browser del team di Gummy?

Certo, volentieri!
Ecco cos’è passato oggi dai nostri browser

donne nude con le carpe

anna lomax

instagram dj app

denis verdini che chiede lo sconto a poltrone e sofà

iscrivetevi a Click This Week!
https://tinyletter.com/gummyindustries

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Yulya Besplemennova: Hybrid spaces, hyperconnections and how to be successful in nowadays design

Yulya Besplemennova  works as an independent designer and consultant in the field of service and system design, with the special interest in the topic of hybrid space (social spaces existing both in physical and digital realms) and intersecting fields of urban spaces design, community engagement and interactions with technology.

Yulya tell us something more on you and the projects you are working on at the moment

What I do in practice is the user research and engagement, facilitation of co-design processes, communication strategies, service design and general user-centered design consulting applied to various fields. The main project for which I collaborate now is Routes.tips – a user generated content platform to share and improve traveling experiences. Together with Routes Software we also work on other projects like Bergamo Quest and upcoming app with the Augmented Reality technology for the mountains navigation.

Besides that as a part of Interstellar Raccoons I explore the world of transmedial speculative design storytelling for design which goes beyond problem-solving, but into field of strategic context redefinition. And with my latest initiative ZaryaLAB I engage into observation and research of important changes in the spatial organisation and interactions within society brought by the new media and technologies.

As most of all I like learning new things, I also know that it happens much faster when teaching which I consider one of the main directions of my professional development. So I was very happy to be co-tutoring the past Relational Design editions modules and Ceramic Futures 2 and 3 with Politecnico di Milano students.

In your experience as designer, how relational aspects have influenced design processes?

As most of the projects I work on are about networks/collectives/communities of people interacting between themselves, with spaces or technologies, relational aspects are the most important in my work. I have to say that it wasn’t easy in the beginning to understand how to deal with it though, even if I passed the course of services and networks in Polimi, real relational design turned to be much more complex and deep issue to which at first I found myself unprepared.
It was especially evident with #nevicata14 project – a temporary configuration of the pedestrian Piazza Castello in Milan during EXPO-2015, which we approached not just as an architectural project, but a project of the creation of the new place and identity for it mostly in the mind of the citizens. We had to overcome the resistance and the past notion of this space as a road for cars and bring them to see new possibilities of use for it. So the project turned from the architectural installation into the public communication one. But it was very difficult for me as I found myself in need of skills and tools I never had to apply during previous years of studying design. I had to work not as an executioner of some design decisions but as a coordinator of the ongoing immaterial process which at first seemed as not a designer’s work, but instead that was exactly what designer should do nowadays. If you want to learn more about it I have written about my perspective in the blog

What is relational design for you?

Relational design for me is the proper name of design we need nowadays, choosing to emphasize the importance of relational aspects of work. First of all because we cannot go on reducing design to functional or aesthetical problem-solving, Artificial Intelligence is coming after us and will be able to do it all better very soon with the current advances in machine learning. But it will never be able to fully comprehend the complexity of human and their relation to the world around.

Another point is that we live in times when relations between objects or subjects get evidently more important than objects and subjects themselves – it is the relations between users of Facebook or Linkedin, or any other platform, that creates value to the whole network and the platform owners, not the profiles themselves: fully filled in profile of a person that’s not actively engaging with others is worth very little. And this is just an example of the digital social network, but in fact all our life in the hyperconnected world works like that nowadays. Relational design is the design that looks exactly at this aspect and knows how to operate with this real source of value.

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Andrea Paoletti e Casa Netural, una casa/community con spazi che raccontano storie di innovazione e collaborazione

Andrea Paoletti è un architetto che ricerca, progetta e scrive circa spazi di collaborazione; insieme a Mariella Stella è co-founder e coordinatore del progetto Casa Netural, una community collaborativa, con sede a Matera, in cui è possibile condividere progetti di vita e di sviluppo professionale. É stato anche un docente della prima edizione di Relational Design con il corso “Gioco e Panorami urbani”.

Andrea, siamo venuti a trovarvi a Matera durante la prima edizione di Relational Design nella bellissima cornice dei sassi per parlare di gamification e progettare giochi urbani, come si è evoluto il progetto di Casa Netural in questi anni?

Casa Netural in questi anni di evoluzione (4 fino ad oggi) da casa/spazio locale è diventata una grande community globale. E’ un punto di riferimento per tante persone che vivono a Matera, nel sud Italia, ma anche persone che dal mondo vengono a trovarci con curiosità e voglia di fare e che a loro volta apprendono cose nuove e che poi diventano nostri ambasciatori portando il metodo “netural” nei loro territori e community di riferimento.

Dal 9 all’11 Dicembre avete organizzato la nuova edizione del Matera Design Weekend che si concentra sul “design immateriale”, ci dai qualche anticipazione? Hai qualche appuntamento speciale da consigliare alla community di Relational Design?

Matera Design Weekend è una grande festa basata sulla novità e sul divertimento che ha l’obiettivo di mettere in contatto più persone possibili con il mondo del design. Abbiamo pensato che di design materiale se ne parla fin troppo mentre difficilmente ci sono situazioni in cui “vivere” quello immateriale. Quindi eccoci qui, mancano pochi giorni e saremo in tanti 🙂 Avremo la fortuna di avere con noi John Thackara, designer del futuro e in una doppia intervista con Arianna Mazzeo parleranno di immateriale, ecco questo evento non è da perdere. Avremo inoltre eventi anche per i ragazzi con una Mini Makers Jam e naturalmente una parte di exhibit. Non ci sarà tempo per annoiarsi!

Com’è stata la tua esperienza come docente di Relational Design e cosa consiglieresti ai giovani che vogliono inserirsi oggi nel mondo della progettazione?

È stata un’esperienza arricchente, ho imparato molto anche io. Dove c’è relazione si creano rapporti orizzontali dove insegnate e studente stanno sullo stesso livello. Mi sono appassionato a vedere la vivacità del loro pensiero, e le doti attive con cui hanno portato avanti il progetto. Proattività che si fa attitudine e che oggi, è l’unica vera chiave per creare qualcosa di diverso, nuovo, emozionate e spezzare la mediocrità.

Avanti tutta Relational Design!

 

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Eleonora Odorizzi e Italian Stories: come creare un progetto partendo dalle relazioni

Eleonora Odirizzi è founder e CEO del progetto Italian Stories, una piattaforma digitale che in poco più di due anni è diventata un punto di riferimento per la (ri)scoperta delle eccellenze dell’artigianato italiano, è stata anche docente nella prima edizione di Relational Design per il corso “L’artigiano e i nuovi codici semantici” che ha condotto insieme ad Andrea Miserocchi, co-founder e project manager di Italian Stories.

Eleonora, per chi ancora non ne avesse sentito parlare, ci racconti il progetto di Italian Stories e come è nato?

Italian Stories è una piattaforma digitale che ha ormai raggiunto le dimensioni di un network (per espansione e penetrazione), composta da una rete di artigiani che si rendono disponibili ad aprire le loro botteghe per organizzare dei workshop su tematiche specifiche del proprio saper fare; il progetto è nato con l’intento di formare un asset tra l’artigianato e il turismo, settori che nella realtà dei fatti non presentavano punti di incontro strutturati e allo stesso tempo creare un nuovo valore economico per gli artigiani; ci siamo chiesti – perchè non creare uno strumento che permetta di entrare in contatto con queste realtà uniche al mondo unendo il valore turistico a quello formativo?

La cosa che più ci piace del vostro progetto è il modo in cui siete riusciti a veicolare realtà tradizionali un pò ferme nel passato attraverso il digitale per restituire però un’esperienza reale e tangibile. Quali sono stati i feedback su questa interazione virtuale/reale?

Recentemente ci ha scritto una coppia dalla Tasmania informandoci del fatto che avessero organizzato il loro viaggio in Italia attraverso le esperienze offerte dalle nostre botteghe. La comunicazione digitale ha permesso un’espansione inaspettata, si tratta di un linguaggio nuovo per la maggior parte degli artigiani con cui siamo entrati in contatto ma a cui molti si sono subito appassionati, riuscendo ad adattare le innate capacità relazionali “off-line” all’online. Questo lavoro di adattamento al web in molti casi è stato anche l’occasione per creare un nuovo tipo di contenuti e immagini mirati a uno storytelling efficace.

Secondo la tua esperienza di founder, che ruolo hanno le relazioni all’interno di un progetto autoprodotto?

La progettazione relazionale è stata fondamentale per la creazione del nostro progetto; è stata condotta su più livelli e in diverse fasi, dalla formazione della rete di artigiani si è passato alla community di storyfinders che si è occupata della documentazione e del racconto, continuando poi attraverso il network creato una volta lanciato il progetto, formato dalle persone che avevano partecipato ai workshop che ci hanno aiutato a sviluppare la storia. Si è conclusa di recente l’esperienza di crowfunding per la realizzazione di MANI, un tentativo di restituire tangibilmente in un volume, tutto il lavoro di raccolta e narrazione digitale svolto fino ad ora: un grande successo che ci vede ora impegnati in spedizioni in giro per il mondo, India, Canada, Perù… che altro non è stato se non la conferma di quanto la progettazione della rete di relazioni, se condotta con passione e lungimiranza, aiuti nel raggiungimento degli obiettivi e restituisca, nel mio caso, anche una stimolante empatia, altrettanto preziosa.

 

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Silvana Carbone – Imparare facendo, imparare viaggiando

Chi meglio degli studenti che hanno partecipato al master può raccontarvi l’esperienza di Relational Design?
Oggi parliamo con Silvana Carbone, studentessa della seconda edizione.

Ciao Silvana,
due anni fa hai frequentato il Master Relational Design (classe 2014-2015).
Quali sono i motivi che ti hanno spinta ad iscriverti?

È già passato tanto tempo? Sembra ieri, forse perché quando ti avvicini al mondo del Relational Design poi non riesci più a non farne parte.

Mi sono iscritta a Relational Design a due anni dalla mia laurea in Ingegneria Edile – Architettura perché cercavo un punto di contatto tra comunicazione digitale / visiva e progetti a cavallo tra l’analogico e il digitale. In più ero fortemente incuriosita dal mondo delle community e della progettazione di interazioni. Avevo bisogno di rimettermi in gioco e di provare qualcosa di nuovo, di affrontare delle sfide insolite per il mio background, di conoscere persone e mondi nuovi. “Imparare facendo, e imparare viaggiando” una vera esplosione di stimoli. Sono una persona curiosa e che ama allargare la sua visione delle cose; il master non ha deluso nessuna delle mie aspettative, ritengo di esserne uscita decisamente più “ricca”.

Ci racconti cosa hai fatto dopo il master?

A poco più di un mese dalla conclusione ho fatto le valigie e da Cagliari mi sono trasferita a Bologna. Ho iniziato uno stage presso l’Ufficio Comunicazione di Alce Nero, azienda italiana leader nel campo del biologico, un posto in cui si racconta una storia – quella del cibo biologico, per l’appunto – attraverso la valorizzazione di chi lo fa, di chi lo produce e di chi crede nei valori della condivisione e della partecipazione. Dopo i sei mesi di stage, in cui ho portato avanti un progetto su Instagram sviluppato durante il summer camp del master, sono stata assunta, e questo mi ripaga ogni giorno di più dei sacrifici fatti fino ad oggi. Adesso mi occupo della comunicazione visiva e strategica degli eventi di Alce Nero: dalla progettazione del materiale grafico fino agli allestimenti, con un focus sulle esperienze relazionali e di networking.

Cosa consigli a uno studente che vorrebbe lavorare nella comunicazione: quali sono le skill e le capacità più utili?

Sicuramente la capacità di sintesi, le tecniche, il sapersi “arrangiare” con i propri strumenti e sapersi destreggiare con quelli che ancora non si conoscono. Ma più di tutto, bisogna saper raccontare una storia, avere dunque la sensibilità per riconoscerla, capirla e poi trasmetterla.

Come ti vedi tra cinque anni? Che cosa ti piacerebbe fare?

Questa è difficile. Posso dire che non riesco ad immaginarmi ferma. In qualsiasi modo lo si voglia interpretare.

 

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Ti abbiamo raccontato Relational Design in tutti i modi possibili. Ora è tempo di passare all’azione.

Vieni a scoprire Relational Design e vivi l’esperienza del master partecipando al terzo modulo didattico Future Domesticity dedicato all’Internet of Things.

Il corso si svolgerà a Torino all’interno di Casa Jasmina (partner del corso), un vero e proprio appartamento, un laboratorio vivo in cui poter riflettere sui significati e le modalità con cui interagiremo nel prossimo futuro con lo spazio domestico.

Attraverso gli strumenti di prototipazione rapida, cercheremo di riflettere sul mondo materiale ed immateriale che popolerà le nostre case, su cosa significa IoT, cosa si intende per oggetti intelligenti e come poterli rendere tali.

Se vuoi vedere da vicino come funziona il master e conoscere gli studenti potrai partecipare gratuitamente ai primi 3 giorni del corso (dal 7 al 9 dicembre):  72 ore per approcciarsi all’interaction design e sperimentare di persona  il nostro metodo didattico.

Per partecipare e ricevere il programma dei tre giorni invia una mail a relationaldesign@abadir.net.

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La prossima edizione del Master Relational Design inizierà a  febbraio 2017.
Sono previste agevolazione economiche per chi invia la domanda di iscrizione entro il 30 novembre 2016.

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Da Bangkok a Milano – Gli studenti internazionali di Relational Design

Questa è la storia di Nuphap Aunyanuphap, volato da Bangkok a Milano per seguire il nostro master.  Buona lettura.

Nuphap in three words

Visuals, Machines, Dreams.
My name is Nuphap Aunyanuphap and I’m from Bangkok, Thailand. I’m 26 years old and I was born in a Thai-Chinese family with three brothers. My parents have influenced my life in many ways, but mostly on how to be a good and respectful person.

Passions that I have developed since childhood

Since I was a child I have always been able to spend countless hours drawing robots and assembling legos. I like very much to make and do things.
Growing up, I began to like very much playing video games (I still do). However, I later discovered that this passion strongly influenced me to be engaged with the digital and multimedia realm, something I found quite useful later in my career.

From architecture to communication

The passion to make and do things led me to study architecture at university, where I had a great time learning about design and architectural topics and also doing projects. However, while studying, I also got very much into communication, always trying to find new ways to make and communicate things: I made presentations and diagrams, I joined an end-of-year publication team, I designed posters… Then, after graduating and working for a while in the architecture field, I convinced myself to do what I knew I was passionate about the most: making projects and communication. After that, I’ve practiced infographics and information design for three years, something I found extremely challenging yet super rewarding.

Master Relational Design: an ideal opportunity for design graduates and for people who want to improve their relational and management skills

After three years of doing so, I decided that it was time to go further and explore the boundaries of communication. And with the great advice of my professor back in Thailand, I was introduced to Relational Design, a course that provided me with the great opportunity to take my interests further and to meet a lot of new interesting people and professionals.
I think Relational Design’s online/offline teaching method is a great way to train us to be professional designers in the current working environment. Its strength – which is also a challenge – is that we can manage our time in a way that allows us to follow the online part of the courses while we work.
It is here that we have to learn how to manage our energy in order to acquire new skills and learn new things (specifically, a new topic for each module) and to develop ourselves – a very important discipline required in this ever changing world.

During the master there are funny moments too!

During the visual storytelling course I got the opportunity to analyze a student’s pinterest moodboard and, viceversa, one of my colleagues made my characterization sheet. It was so funny!
I think it partially reflected my personality: some aspects were spot-on, others weren’t. I think the way we see ourselves and the way other people see us are of course different (which is super interesting!). However, she did manage to catch the keywords of “dreams” and “possibilities”, which are things that match very well what I think of myself.

My favorite social network?

Even though Facebook is what I use the most (since everyone is using it for everything), my favorite social network is Instagram. The main reason is that it tells the story of someone/something mainly through photos and visuals. There is not so much else to see, but I think that’s beauty of it. Also, as a visual designer, I like to play (and do research) with its constraints and possibilities. Great fun!

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Relational Design Alumni – Alessandro Carlaccini

Alessandro Carlaccini è community manager a IdLab.

Sono a IdLab da marzo e sto seguendo i social e la community di Campus Party Italia: mi occupo della produzione e gestione dei contenuti nei diversi canali del progetto. Si tratta di raccontare un festival di innovazione e tecnologia realizzato in diverse location nel mondo, che si farà tappa per la prima volta in Italia dal 19 al 24 luglio 2016,  a Bergamo.
Stiamo costruendo ed animando la community italiana attraverso lo storytelling delle passate edizioni nel mondo e la condivisione di materiali originali, cercando di mettere in rete le realtà più interessanti in questo settore.

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Content Design e Strategy – Relational Design incontra Internazionale

a cura di Giudita Melis

«Ciao a tutti! Primo giorno, primo brief. Se avete già iniziato a leggere le prime pagine avrete capito che questa settimana iniziamo carichi!»

Sono state queste le prime parole della nostra prof (non osate chiamarla così però, non lo apprezzerebbe!). E non scherzava.

Abbiamo iniziato davvero carichissimi: suddivisione in cinque gruppi, analisi di una testata a scelta tra BuzzFeed, The New York Times. The New Yorker, Tastemade, Refinery29, Vice.com, Vox.com, Mashable, Daily Mail, The Guardian, Washington Post, esposizione tramite slide o mappa testuale o infografica. Chiaro e liscio come l’olio.

Secondo brief«Ogni studente dovrà creare dei contenuti di racconto del proprio diario personale che siano il più specifici possibile per il singolo canale con la scelta del tipo di formato e metodo di creazione (tecnica) più innovative possibile all’interno del singolo canale».

La nostra reazione iniziale è stata di sbigottimento, ma pian piano abbiamo preso confidenza con i mezzi affidatici da Bianca, abbiamo capito cosa si aspettasse da noi – per quanto mi riguarda l’ho capito mentre creavo le storie – e, insomma, ci siamo sbizzarriti a inventare e realizzare contenuti e racconti davvero carini e interessanti.
Ma questo era solo l’inizio: avremmo concluso in bellezza a Roma, presso la sede di Internazionale.

Anche questa volta i dettagli del brief erano tanti, chiari e specifici: se scegliessimo di mettere in evidenza una caratteristica di questo modulo sarebbe senza dubbio l’attenzione verso i dettagli.

Obiettivo del workshop era creare un contenuto specifico per un prodotto editoriale per il magazine Internazionale. Dopo il primo incontro con la gentilissima Martina – editor che lavora con la rivista da ben ventun anni – ci siamo messi a lavoro in quella che sarebbe stata la nostra postazione e la nostra “casa” per i successivi tre giorni: il coworking di via Monte Testaccio.

Ci siamo lasciati guidare, affascinati dalla sapienza di Bianca che ha organizzato il lavoro alla perfezione senza mai perdere il controllo della situazione benché dovesse seguire tre gruppi di lavoro abbastanza diversi tra loro ed eterogenei (e anche un po’ confusi!).

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Dopo aver buttato giù circa un centinaio di idee tutti insieme, le abbiamo raggruppate, votate e abbiamo scelto per alzata di mano le tre più quotate. Abbiamo quindi creato i gruppi e poi via, dritti filati a produrre qualcosa di sensato e carino per cercare di cadere nelle grazie di Internazionale!

Le giornate di studio-lavoro sono state molto intense e la sede del coworking – che grazie al cielo si trovava accanto al mercato – ci ha visto immergerci completamente nella creazione di contenuti, per poi rivedere la luce solo venerdì alle 13:30 e dirigerci vittoriosi verso via Volturno 58  a presentare le nostre proposte.

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Immersi nell’uso di Snapchat e nei test relativi, nella creazione delle personas, nel benchmarking, nelle presentazioni, il tempo è volato via e sembrava non essere mai abbastanza. Ce l’abbiamo fatta, abbiamo ottenuto risultati – più o meno belli, più o meno interessanti, ma di certo prodotti consapevolmente; abbiamo imparato tanti e siamo sopravvissuti, con una gran voglia di continuare e scoprire la prossima sfida.

Grazie a Bianca, grazie al supporto psicologico di Aurora prima e di Lucia poi, e grazie a tutti i colleghi è stato tutto molto intenso e ricco.

Alla prossima!

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L’importanza del basic design – Intervista a Giovanni Anceschi

Giovanni Anceschi

Chi sei, che cosa fai e dove hai studiato?
La mia carriera è molto colorata, confesso: ho cominciato come artista negli anni Sessanta dell’altro secolo e ho fondato il Gruppo T di arte cinetica e programmata.
Poi, non contento di questa cosa qua, mi sono domandato: qual è l’arte pubblica, l’arte veramente pubblica? È il design. E così sono andato a studiare nella scuola che allora era più attiva e più importante in questo campo, la Hochschule für Gestaltung di Ulm, e lì sono diventato visual designer. Poi sono andato nel terzo mondo e ho lavorato per la società nazionale del petrolio algerino, mi sono occupato di immagine coordinata, ho lavorato in mare in Africa per tre anni, finché sono rientrato in Italia e ho cominciato la mia carriera all’interno delle università, dove sono stato il primo professore di grafica – io ho 74 anni.
Una delle cose, però, che mi hanno sempre estremamente interessato è la pedagogia del design. E il nucleo assolutamente centrale e fondamentale della pedagogia del design è il basic design.

Cos’è il basic design?
È il cuore del cuore della nostra disciplina di designer, è proprio il centro centrale della disciplina. Se vi chiedono «che cosa fa un designer?» potete rispondere con sicurezza: «attribuisce una forma, una configurazione, agli oggetti del mondo che ci circonda».
La cosa per cui ci pagano è la qualità che noi attribuiamo a questa forma.
Un ingegnere, quando gli viene posto un problema – un’automobile ad esempio – pensa all’automobile come uno strumento per muoversi. Un designer ci mette dentro altro. E soprattutto – non sto parlando di uno stylist o di un formalista – deve fare molta attenzione alla qualità che assumono le forme degli oggetti. Guardiamo un po’ la qualità formale degli oggetti che abbiamo intorno: è molto molto bassa. Il nostro compito essenziale è quello di aumentare questa qualità.
Pensiamo a un sito: ci sono i siti belli e brutti; ci sono i siti che hanno una qualità interattiva e sofisticata, dove tu ci stai dentro bene: ecco, questa è la nostra competenza e il basic design insegna proprio a disegnare bene, a disegnare qualitativamente bene.

Perché studiare basic design?
In base alla mia esperienza, gli studenti che hanno fatto basic design diventano completamente diversi da quelli che non l’hanno fatto. Al Politecnico di Milano c’era questa situazione: c’erano delle sezioni in cui si studiava il basic design e poi c’erano dei corsi che non l’avevano, perché non c’era la possibilità di coprirle. Beh, c’era una bella differenza: i ragazzi che avevano fatto basic design, dopo aver frequentato il corso, avevano acquisito un qualcosa di assolutamente imbattibile che definirei come “sicurezza formale”.
Voglio raccontarvi un aneddoto – alla mia età gli aneddoti sono all’ordine del giorno. È un aneddoto che riguarda l’ingresso del basic design nelle università: ero professore ed ero membro del Dottorato di ricerca in Design; si presentò un dottorando che felicemente propose di fare il suo dottorato sul basic design. Allora accadde una cosa divertente: andai in riunione con tutti gli altri professoroni e presentai questa idea, spiegando che sarebbe stato parecchio interessante fare uno studio sul basic design. E fu a quel punto che guardai i miei colleghi e vidi che tutti avevano quella faccia che hanno solitamente i ragazzi quando vengono interrogati, quella faccia sfuggente con gli occhi che vanno un po’ di qua e un po’ di là… Rimasi scioccato, perché significava che non ne sapevano niente. Naturalmente dissero di sì, perché non sapendone niente non potevano certamente avere argomenti a sfavore. Finita la riunione uno di questi prof, molto simpatico, molto diretto, mi prese da parte e mi disse in milanese «ma cosa l’è sto basic design?». E così passai una buona ventina di minuti a raccontare, a parlare del fatto che il basic design comincia col Bauhaus, e che poi ci sono Klee e Kandinsky e poi Maldonado e così via. E alla fine di questo discorso, con gli occhi veramente brillanti, lui esclamò: «Ah! Ho capi’! L’è il mio stile!». Ecco, se veramente, veramente, dovessi dire cos’è l’esatto contrario del basic design la risposta sarebbe lo stile personale. Questo per raccontarvi com’è la situazione degli studi e della conoscenza di questa componente assolutamente essenziale del design che è il basic design.

Quali sono le tre invenzioni che secondo te hanno cambiato il mondo?
Sicuramente non sono tre, sono molte di più. Una cosa che non si dice spessissimo in questi casi, un’invenzione esemplare, è l’invenzione del sistema a caratteri mobili di Gutenberg. Se vogliamo, l’invenzione della scrittura stessa. E poi adesso tutte ‘ste robe elettroniche.

Tre cose che salveresti del mondo vecchio e tre cose che ti piacciono del mondo nuovo?
Devo confessare – forse sarà nella mia prospettiva un po’ da vecchietto – che io non vedo questa totale svolta tra i due mondi. Tutte quelle cose che sembrano delle terribili fratture in realtà non sono servite ad altro che a far proseguire, in realtà sono state solo delle grandi metamorfosi. Le cose adesso si sono trasformate e l’unica cosa che noi dobbiamo cercare di fare è aderire a queste metamorfosi.

I tre libri assolutamente da non perdere?
Non bisogna leggere solo tre libri, bisogna leggerne cento, duecento… Quasi non siamo – mi ci metto nel mezzo anche io – più capaci di leggere i libri.

Che cos’è, per te, Relational Design?
Relational Design, adesso, comincia ad avere un significato ormai stabilito: a me piace molto metterlo in collegamento con un certo tipo di cultura e di conoscenze che io ho da tanti anni. In particolare, io sono stato allievo di un filosofo importantissimo italiano, che adesso non viene più tanto considerato, che si chiama Enzo Paci. Enzo Paci era un filosofo relazionista e ha scritto un libro intitolato “Tempo e relazione” (il tempo è un altro tema centrale per me, per i miei interessi): trasferire il discorso delle relazioni nel mondo del progetto, del design, consiste nel progettare le relazioni fra le persone, cioè, gli oggetti, gli artefatti, i comunicati, tutto quello che viene progettato viene progettato in quanto è materializzazione delle relazioni.

Vogliamo conoscerti meglio: vuoi aggiungere altro?
Sono affetto attualmente da una cosa un po’ sgradevole che è l’insonnia e la mia dottoressa mi ha proposto di fare un corso di canto terapeutico… e allora io adesso, tutte le settimane, vado a cantare.