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Raccontare con le immagini: il workshop di Visual Storytelling ad Amsterdam

Questa volta il viaggio è cominciato in 3. Siamo io e due compagne di corso. Per l’ultima tappa insieme ci siamo ritrovate e concesse più tempo arrivando a destinazione il giorno prima. La meta: Amsterdam, Paesi Bassi.

Visito Amsterdam per la terza volta e non mi dispiace. La sua architettura e i canali mi impongono tranquillità, il freddo mi tiene sveglia, ho segnato i musei che non ho ancora visto e sul divertimento, anche per i meno impavidi come me, si trova sempre qualcosa.

È domenica, per la prima volta trovo un espresso decente fuori dallo stivale e questo influisce positivamente sul mio umore per cui comincio a fare conoscenza con i nuovi arrivati del gruppo. Siamo già a nostro agio tra le pareti di Wecanbeheroes, ci sediamo su un grande divano e si attacca con le domande di rito “Da dove vieni?”, “Cosa fai?” etc.

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Veniamo interrotti solo dall’arrivo di Pierluigi e Mariek, rispettivamente il nostro docente del modulo di Visual Storytelling e la Managing Director di Wecanbeheroes.

Una breve introduzione comune fa da apripista per l’inizio del workshop, poi Mariek ci racconta chi è lei, cosa fa Wecanbeheroes, con chi lavora e cosa vorrebbe da noi. Tante informazioni per cui il primo pomeriggio lo passiamo a rielaborare dati tra brief e schemi e parole.

Il giorno successivo ci dividiamo in tre macro-gruppi per affrontare il lavoro da prospettive diverse da connettere nella fase finale in un unico grande progetto: l’obiettivo è riassumere e spiegare “Cos’è Wecanbeheroes” attraverso l’utilizzo di immagini in movimento.

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È stato complicato, è stato impegnativo, ci abbiamo messo quattro giorni, abbiamo consumato un numero variabile tra i 100 e 900 post-it ma non ci sono stati feriti e il risultato ha egregiamente soddisfatto le nostre aspettative e quelle di chi ci ha accolto.

Ripartiamo, prima però un’ultima serata tutti insieme con i saluti e gli arrivederci; poi via a prendere voli che atterreranno sparsi qua e là.

Bruna Crapanzano

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Milanogram – Diario di viaggio

a cura di Sara Filippelli

Ciao a tutti! Da zero a cinque quanto vi piace camminare?

Per noi di Relational Design è iniziata così l’avventura di #Milanogram, un modulo itinerante che ci ha portato a dare forma e significato allo spazio urbano di Milano. Come? Partendo da una serie di riferimenti concettuali e una serie di esercitazioni pratiche per poi arrivare al workshop, una vera e propria circumnavigazione durata tre giorni e due notti lungo un percorso ben definito dentro e fuori la città.

Durante il viaggio ogni studente ha tenuto il suo diario – sviluppato attraverso una serie di frammenti video – e costruito un atlante online aperto, condiviso, visivo, in grado di raccontare situazioni che molto spesso sfuggono a qualsiasi costruzione di senso. Dove invece il senso noi lo abbiamo trovato: camminando dal 22 al 24 Aprile 2016 per 40 km a piedi; 36 ore no-stop, 9 video prodotti, zaini, mantelline, scarponcini, equipaggiamenti vari, molte occhiaie ma tanto cuore.

Milanogram è stato un viaggio in primis interiore – grazie a letture come “Walkscapes” di Francesco Careri, “La passeggiata” di Robert Walser, il film “Uccellacci e Uccellini” di Pier Paolo Pasolini, “Lisbon Story” di Wim Wenders, il sito-archivio di Joshua Edwards “Architecture for travellers” e molto altro ancora – e in secondo luogo di relazione: con il nostro gruppo di viaggiatori, con le persone che abbiamo incontrato durante il viaggio e nelle situazioni conviviali, con le persone che ci hanno seguito dal remoto mondo del 2.0.

Personalmente parlando, è stata unʼesperienza forte che mi ha insegnato nuovamente a osservare lo spazio perdendomi. Come afferma Walter Benjamin «Not to find oneʼs way in a city means little, but to lose oneself in a city as one loses oneself in a forest requires practise… Then the street names must call out the wanderer like the snapping of dry twigs, and the small streets of the city-centre must reflect the time of day as clearly as the mountain hollow».

A ben pensare, i tre giorni di deriva situazionista nellʼepoca dei social mi sono sembrati un mese intero per la densità di esperienze e di incontri fatti durante #Milanogram: partire dallʼExpoGate in Largo Cairoli con tende, sacchi a pelo e zaini in spalla; camminare guardando la città in ogni suo minimo e sfuggevole particolare; passare dal quartiere cinese e meravigliarsi di quanto sia così diverso ed escluso rispetto al resto della città; sdraiarsi a fare video in mezzo alle piazze per seguire lʼonda dellʼimmaginazione; arrampicarsi in posti improbabili per cogliere un segno del paesaggio urbano; confrontarsi, chiacchierare e ridere con i componenti del gruppo; darsi una mano nei momenti di difficoltà; creare relazioni dentro e fuori, fuori e dentro; trovarsi ospiti in una meravigliosa cascina recuperata – CasciNet – e cenare coi deliziosi prodotti del territorio; accendere un fuoco e scaldare ancora le relazioni; dormire in tenda e ridere, ridere, ridere con i compagni di viaggio; svegliarsi la mattina presto; conoscere gente nuova e sentire le loro storie in mezzo a tante altre storie; provare tristezza perché non si vuole lasciare un posto dove vorremmo restare ancora un po’; sentire dolore ai piedi; medicarsi i calli; attraversare le stazioni senza dover partire da-a nessun posto; perdersi per soffermarsi sui cocci di una strada-discarica a cielo aperto; sbandierare figurini di ogni tipo per creare collage immaginari; registrare i suoni del mondo; trovarsi allʼimprovviso nella meravigliosa pace di un’abbazia e capire che alle volte il tempo si ferma anche a Milano; camminare tra la campagne ed incontrare improbabili processioni religiose sullo sfondo di palazzi in costruzione; prendersi un tempo lento per immagazzinare ogni cosa che proviene dai nostri cinque sensi, dal nostro contatto con il mondo esterno; innamorarsi del Bosco Urbano e ringraziare la natura; avvicinarsi alla città e godere dellʼarchitettura; perdersi nei profumi di una primavera in esplosione; trovare poesie di amore abbandonate in un prato; dormire al Camping Milano e scoprire che hanno una piccola fattoria con pavoni, ciuchi e capre; mangiare una pizza fredda ed essere soccorsi dal professore del primo modulo, Gianni Romano, che ci  porta i pasticcini; avere i piedi sempre più doloranti e le gambe stanche; ripartire la mattina seguente con un nuovo compagno di viaggio: un inglese in Italia per qualche giorno che decide di seguirci negli ultimi km della nostra derivazione; rientrare sempre più lentamente nella città ma sentirla in maniera diversa; farsi permeare dalla confusione, dal traffico, dagli italiani e dagli stranieri; perdersi nei muri tenuti vivi dalla street art; perdere quasi un polmone scalando il Monte Stella ma sentirsi così tanto bene in alto; relazionarsi in sempre più relazioni relazionali; capire che anche i sassi hanno la loro importanza e che niente viene costruito per caso; sentirsi stanchi ma sempre pronti ad esplorare, camminare, scoprire, spulciare, disconnettersi e riconnettersi; mettersi intorno a un tavolo per parlare delle nostre impressioni e non sapere cosa dire per la troppa pienezza di emozioni; sentirsi diversi, in qualche modo maturati nellʼaver raccontato una città facendoci rapire dalle sue dinamiche e immaginandola.

Innamorarsi di Milano come si fa di un amico che conosci da sempre ma che non hai mai voluto vedere.

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