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Il ruolo sociale del designer nell’economia della cultura: intervista ad Anna Mignosa

In che modo può il design generare sviluppo locale e creare nuove economie attraverso l’arte, la cultura e la creatività? Quali politiche e buone prassi dovrebbero adottare le amministrazioni cittadine o i governi nazionali per favorire tali processi? A queste domande risponde Anna Mignosa, docente del modulo Design per le Industrie Culturali e Creative.

La tua ricerca si concentra sull’economia della cultura: di cosa si tratta e come ti sei avvicinata a questi temi?
Cultura ed economia sono stati considerati a lungo come una “strana coppia”, dove l’economia veniva vista come una minaccia per la cultura. In realtà l’economia può offrire un approccio utile a sostenere il settore culturale utile per sostenerlo. L’economia della cultura, in particolare, potrebbe aiutare a risolvere alcuni dei problemi del settore garantendone la sopravvivenza e lo sviluppo.
Quello che è considerato il primo testo di economia della cultura, Performing arts: the economic dilemma di W.J. Baumol e W.G. Bowen, fornisce la giustificazione teorica per il supporto pubblico alla cultura. La disciplina si è sviluppata sia nell’approccio usato che per quanto riguarda i temi e i settori analizzati: performing arts, patrimonio culturale, mercato dell’arte, industrie culturali e creative, internet, digitalizzazione, comparsa di nuovi intermediari, ruolo del copyright, riduzione del finanziamento pubblico per la cultura, ri-organizzazione delle politiche culturali, nuovi modelli di business, turismo culturale, rapporto fra patrimonio culturale, creatività e sviluppo, città creative, moda, economia dell’artigianato, nuovi modelli di governance della cultura… Questa evoluzione dell’economia della cultura dimostra la sua capacità di seguire da vicino i cambiamenti della società e il tentativo di fornirne una lettura che possa migliorare “lo stato dell’arte”.

L’ingresso del campus della Erasmus University, Rotterdam

Mi sono avvicinata a questa disciplina grazie a un incontro col prof. Alan Peacock, a cui è seguita la collaborazione a una ricerca sulla gestione del patrimonio culturale siciliano che mi ha poi portata a fare un dottorato in Economia della Cultura a Rotterdam, con una tesi sulla gestione del patrimonio in Sicilia e Scozia. Da qui la mia attenzione si è concentrata sull’economia del patrimonio culturale ponendo particolare attenzione alle politiche culturali. Adesso divido la mia attività di insegnamento e di ricerca fra l’Italia e l’Olanda, occupandomi principalmente di turismo culturale, del rapporto fra patrimonio culturale, creatività e sviluppo, dell’economia dell’artigianato e di nuovi modelli di governance della cultura.

Qual è il rapporto tra innovazione sociale, economia della cultura e design?
C’è una crescente attenzione sul ruolo sociale del design e sugli effetti che questo può avere per l’innovazione sociale. Si tratta di un fenomeno che ha coinvolto soprattutto gli addetti ai lavori: designer, architetti, urban planner, social innovator. L’economia della cultura può fornire gli strumenti per un’analisi critica del rapporto esistente fra innovazione sociale e design, e quindi identificare best practice che potrebbero essere incluse nelle politiche di sviluppo di città, regioni, nazioni.

Anna Mignosa durante il workshop dell’edizione 2019.

Ti dividi tra l’Italia e l’Olanda: quali sono le sostanziali differenze nell’applicazione dell’economia della cultura nei due paesi?
Qualche anno fa una mia studentessa fece una tesi che cercava di verificare se e quanto l’economia della cultura trovasse applicazione nella pratica. Il risultato delle sue ricerche era alquanto scoraggiante perché sembrava rilevare una scarsa applicazione della disciplina nella gestione della cultura a livello internazionale. Comunque, in generale, in Olanda c’è una maggiore attenzione ai temi economici nella gestione della cultura. L’idea di accountability – ossia la responsabilità nei confronti di una gestione efficace delle risorse pubbliche destinate alla cultura – è sicuramente più sviluppata di quanto non accada in Italia, dove purtroppo l’approccio economico è ancora guardato con sospetto, nonostante la diffusa consapevolezza dell’importanza del nostro patrimonio culturale. Prevale ancora l’idea che l’economia sia una minaccia per la cultura e non uno strumento per supportarla e migliorarne lo stato. Anche il dibattito sulle industrie culturali e creative resta nel nostro paese indietro rispetto a quanto sta accadendo nella maggior parte degli altri paesi –europei e non.

Design per le Industrie Culturali e Creative è il corso che terrai a Rotterdam a gennaio 2020 per il Master Relational Design. Puoi darci qualche anticipazione?
Vorrei mostrare agli studenti che esistono una miriade di opportunità di valorizzazione della cultura, in senso molto ampio ma con una forte attenzione alla sua relazione con la comunità locale e con i temi che oggi sono sempre più alla ribalta in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU. La cultura è – o può diventare – uno strumento fondamentale di crescita sociale ed economica: bisogna essere creativi abbastanza per identificare i modelli, gli strumenti e le politiche che possono rendere questo possibile trasformando idee in pratiche di sviluppo sociale, culturale ed economico.

Il corso Design per le Industrie Culturali e Creative si terrà a gennaio 2020, con un workshop a Rotterdam da giovedì 9 a sabato 11.
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Info e iscrizioni:
info@relationaldesign.it

 

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Kilowatt: progettare modelli di sviluppo sostenibile

Innovazione sociale, rigenerazione urbana, sostenibilità: il design contemporaneo non può non tenere conto del proprio impatto sul futuro. Ne abbiamo discusso con Gaspare Caliri, co-founder di Kilowatt e docente del corso Design-as-a-Bricolage for Social Impact and Sustainability, in programma ad aprile 2020 all’interno della nuova edizione del Master Relational Design.


Semiologia, co-design e community organizing: dicci di più sul tuo background poliedrico.
La mia prima passione è stata la semiotica – l’etnosemiotica in particolare – e la lettura di lettristi e situazionisti. Poi i processi creativi collettivi. Poi i modelli organizzativi. Ho capito alcune cose, credo abbastanza bene, grazie a queste passioni e grazie all’arte relazionale, al design dei servizi e soprattutto alle teorie della complessità: non esiste causa-effetto ma azione e retroazione; il nostro punto di vista incide sul sistema, lo modifica. 


Sei co-fondatore di Kilowatt. Di che si tratta?
Kilowatt è un’organizzazione complessa, tecnicamente un ibrido organizzativo, ma anche un incubatore di progetti nostri e di altri. Ci occupiamo di tante cose diverse: ad esempio abbiamo rigenerato a nostre spese le vecchie serre abbandonate del comune di Bologna, dove abbiamo un ristorante e una programmazione culturale, un orto condiviso, un coworking e una scuola dell’infanzia; siamo stati una startup innovativa cooperativa e ora non lo siamo più perché siamo diventati adulti; abbiamo un’agenzia di comunicazione e una di consulenza – tutte cose che potete vedere sul nostro sito – e tutte concorrono a un obiettivo di cambiamento di lungo periodo: dare al lavoro la qualità del tempo libero. Trovate un po’ di cose nel nostro bilancio d’impatto e in questo articolo.


Di quali altri progetti ti occupi?
Sono stato tra i fondatori del Centro Bolognese di Etnosemiotica (CUBE) e ho condotto per molti anni Snark, un’associazione che si occupava di progetti di sensibilizzazione ai temi legati allo spazio pubblico (ora non c’è più, abbiamo fatto una festa funebre a inizio anno); ho anche fatto il critico musicale, per dodici anni più o meno. Ora (da cinque anni e passa, per la verità) c’è Kilowatt, che è il mondo che ci costruiamo ogni giorno cercando di valorizzare le nostre passioni, ricavandoci gli spazi di libertà di espressione di cui abbiamo bisogno. E uno di questi è proprio la dimensione della formazione, dell’educazione; un altro è la programmazione di concerti e laboratori sulle musiche non convenzionali, che curo alle Serre.

Le Serre dei Giardini Margherita, Bologna_

Dicci di più sulle Serre dei Giardini Margherita che hai citato prima: parlaci dello spazio e delle attività che si svolgono al suo interno.
È un luogo dove i pubblici si mescolano, è al contempo un bar e ristorante (d’estate proiettato fortemente verso l’esterno), una grande aula studio coworking informale all’aperto (ovunque ci sono WiFi e prese elettriche), uno spazio per eventi (non solo nostri), un luogo di condivisione, cultura, formazione, oltre che il nostro spazio di lavoro. Ognuno ha un’occasione o un’opportunità per appropriarsene.


Così come il master si fonda principalmente sulle relazioni anche,  il tuo corso vuole creare connessioni tra gli strumenti provenienti da diverse discipline. Puoi darci qualche anticipazione?
Lavoriamo molto sul tema dell’impatto, ossia del cambiamento a lungo periodo legato principalmente ai diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Aiutiamo le aziende o altre organizzazioni a orientare la propria innovazione grazie a questa prospettiva. Allo stesso tempo, facciamo progetti sperimentali in prima persona. Uno di questi è GREAT, un progetto europeo finanziato dal fondo Life, che ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza di tutta la filiera, dal coltivatore al trasformatore, alla GDO al consumatore finale, dell’importanza di coltivare e consumare cibi cosiddetti “resilienti” (che contribuiscono a calmierare il riscaldamento globale e si adattano meglio al cambiamento che è già in atto).
Design-as-a-bricolage vuol dire dotarsi degli strumenti più adeguati (sia che vengano dalle scienze sociali, sia dalla comunicazione, dal community organizing o dal design dei servizi) per gestire il corretto confezionamento di una domanda di progettazione, che è sempre anche domanda di immaginario per una comunità di riferimento. Lavoreremo proprio sulla dimensione del coinvolgimento e sul problem framing con i destinatari del progetto.

Il modulo “Design-as-a-Bricolage for Social Impact and Sustainability” si terrà ad aprile 2020 in collaborazione con Kilowatt e con Alce Nero: 
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La nuova edizione del Master Relational Design inizia il 1° ottobre:
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Gaspare Caliri