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Allargare i propri orizzonti e uscire dalla comfort zone grazie al Programma Erasmus+: intervista ad Alice Biagi

«Dopo la laurea in Architettura all’Università di Trieste, mi sono ritrovata a non saper bene da che parte andare, cosa fare e da dove cominciare. Ho lavorato per un periodo in uno studio di architettura che ho scoperto starmi un po’ strettoHo sempre trovato affascinante osservare come le persone interagiscono, come si intrecciano, come si legano; e per quanto siano temi che interessano la sfera “architettura”, spesso non vengono presi in considerazione da chi lavora in questo settore. Per questo ho cominciato a guardarmi attorno e cercare un’altra strada, provando a crearne una mia. Sono una persona metodica e razionale, ma con una vena creativa che ogni tanto ha il sopravvento, e la voglia continua di scoprire cose nuove.»

Come ti sei avvicinata al master e perché hai deciso di intraprendere questo percorso?
Sorrido sempre quando mi fanno questa domanda, perché in realtà è successo totalmente per caso, mentre cercavo su internet cosa fare della mia vita. Avevo scelto delle parole chiave per individuare dei possibili percorsi di studio (glocal, comunicazione, comunità…) e uno dei primi risultati è stato proprio il Master Relational Design. L’ho interpretato come un segno e nel giro di qualche giorno mi sono iscritta. Mi stimolava molto l’idea di un percorso itinerante: diverse città, diversi docenti e diversi argomenti. Credo che sviluppare conoscenze in vari settori oggi sia di fondamentale importanza perché permette di approcciarsi ad altri professionisti (e non) con maggiore consapevolezza, avendo una visuale e un campo d’azione più ampi.

Grazie al programma Erasmus+ hai avuto la possibilità di svolgere all’estero il tirocinio del master. Cosa ha significato per te questa esperienza?
Tanto. Sicuramente.
Avevo già vissuto un’esperienza Erasmus, a Valencia durante la triennale, ma questa volta è stato totalmente diverso, innanzitutto perché è stata un’esperienza lavorativa… e poi perché (forse) sono più matura rispetto a quattro anni fa.
Il traineeship in Slovenia ha significato molto per vari motivi. A livello personale sentivo il bisogno di mettermi alla prova, nel dover parlare un’altra lingua e nel dovermi confrontare con persone nuove e una realtà diversa da quella a cui ero abituata, nonostante fossi comunque vicino a casa. A livello lavorativo è stato molto costruttivo: da PiNA, l’organizzazione non governativa che mi ha ospitata, spesso non sembra esserci una scala gerarchica, quindi fin da subito mi sono stati affidati responsabilità e progetti (per quanto piccoli) da seguire quasi in toto. Questo mi ha aiutata a spingermi oltre ai miei limiti… proprio quello che cercavo. In più ho conosciuto persone fantastiche che mi hanno fatta crescere, dei mentors che non si sono limitati ad essere delle figure “burocratiche” come da contratto, ma hanno realmente voluto regalarmi del tempo e condividere con me le loro esperienze, dandomi delle preziose lezioni di vita che nel tempo ho fatto mie.


Uno dei progetti a cui ho collaborato è Narišimo Obalo – Drawing the Coast, un intervento di cittadinanza attiva e di gestione partecipativa del territorio. Abbiamo iniziato all’alba stendendo lungo il percorso 2 km di carta bianca e abbiamo finito alle 9 di sera raccogliendo 750 mt di disegni realizzati da bambini e persone di ogni età. L’evento ha permesso, attraverso la scrittura e il disegno, di progettare il futuro della strada costiera cha va da Capodistria a Isola.

Consiglieresti l’Erasmus+ Traineeship ai futuri studenti?
Assolutamente sì, indipendentemente dall’indole o dal carattere credo sia un’esperienza fondamentale per allargare i propri orizzonti, riuscire a vedere le cose da diversi punti di vista e costruirsi un bagaglio di competenze ad ampio spettro. Un’esperienza Erasmus insegna ad adattarsi alle diverse situazioni, ad essere resilienti in questo mondo incasinato, soggetto a cambiamenti repentini in cui a volte possiamo sentirci persi. Quindi sì, lo consiglio, anche perché non capita tutti i giorni di poter andare all’estero ricevendo una borsa di studio, una sorta di  piccolo “aiuto da casa”.

PiNA, Koper. Foto: Ales Rosa

Ora che sei quasi al termine del percorso, cosa ti ha lasciato il master? E come ti ha ispirata per i tuo progetti?
Ha aumentato in me la voglia di scoprire cose nuove, sempre e comunque, di non fermarmi nella zona di comfort in cui si sta comodi ma si è statici, di provare sempre a vedere cosa c’è oltre. Un po’ come quando durante il corso di Design Narrativo abbiamo oltrepassato la recinzione attorno a Isola Bella scoprendo che sapeva essere davvero ‘bella’!
Quest’anno è stato una continua scoperta, il modo di porsi dei docenti e i temi su cui abbiamo lavorato personalmente mi hanno dato molto. A prescindere dal non indifferente network che ti puoi creare, ho avuto la possibilità di vedere dall’interno il funzionamento di realtà molto conosciute come Internazionale, ma anche come sono nate, i valori e la forza rivitalizzante di altre più piccole, come Suq. magazine.

Che progetti hai per il futuro?
Attualmente sto continuando a lavorare da PiNA, principalmente come graphic designer. Quando lo scorso gennaio mi è stato chiesto se volessi rimanere quasi non ci credevo!
In più sto sviluppando un progetto assieme ad altri ragazzi per creare una Civic Factory a Trieste, uno spazio in cui generare cultura, un luogo di aggregazione aperto a tutti per creare, sperimentare ed essere attivi! E siccome sono argomenti pertinenti al master, ho deciso di sviluppare parte di questo progetto come tesi, sotto la supervisione di Andrea Paoletti, andando a ricercare delle possibili strategie per attivare uno spazio del genere in una città come Trieste.

Il Degree Show del Master Relational Design si terrà venerdì 11 ottobre 2019 ad ABADIR – Accademia di Design e Arti Visive. Vieni a scoprire il progetto di Alice!

La nuova edizione del master inizia il 1° ottobre:
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Giulia Micozzi, da Monza a Palermo per tessere relazioni multiculturali

Dall’Internet of Things all’innovazione sociale; da nord a sud per una nuova esperienza formativa multiculturale: vi raccontiamo la storia di Giulia Micozzi, studentessa del Master Relational Design.

Parlaci di te: da dove vieni? E cosa ti ha spinta a frequentare il Master Relational Design?
Vengo da Monza e ho studiato Design del Prodotto Industriale al Politecnico di Milano laureandomi nel 2017. Dopo la laurea sapevo di voler continuare gli studi ma volevo fare una scelta ponderata dell’indirizzo da prendere, motivo per cui ho iniziato a lavorare a Milano, prima seguendo i progetti di un professore del Politecnico, poi da THINGS.is, un’agenzia di design specializzata in IoT. In questa fase ho scoperto grazie ai social il master, che mi ha subito interessato perché data la varietà di argomenti trattati poteva aiutarmi nella ricerca della mia strada.

Adesso che sei quasi alla fine del percorso puoi dirci cos’è per te Relational Design?
Il nome del master è autoesplicativo: relational, relazioni, inteso come creazione di network, e design, il progetto. Questo master ti fa capire l’importanza delle relazioni per la realizzazione di un progetto completo e ben fatto, soprattutto negli ambiti che vengono trattati, come l’innovazione sociale. Non possiamo fare tutto da soli, ognuno ha le sue competenze, durante questi mesi abbiamo scoperto come mischiarle e sfruttarle a vicenda. Questo sia grazie al fatto che ogni modulo insegna le basi di una disciplina diversa, sia perché gli studenti vengono da background diversi.

Da Monza ti sei trasferita a Palermo per lo stage, una scelta in controtendenza rispetto ai tuoi coetanei. Cosa ti ha spinto a farla?
Ho frequentato a Palermo il summer camp del master, Design for Urban and Social Innovation e questa città ha avuto su di me un “effetto calamita”: c’è fermento e voglia di fare, i campi d’azione possibili per progetti interessanti e socialmente utili sono moltissimi. Mi sono così guardata intorno e ho individuato una realtà in cui svolgere uno stage che mi insegnasse come muovermi nell’ambito dell’innovazione sociale: MoltiVolti, che ho conosciuto grazie ai ragazzi di PUSH. Parallelamente sto portando avanti il mio progetto di tesi, sviluppato proprio con PUSH. qui a Palermo.

Cos’è MoltiVolti e di cosa ti occupi al suo interno?

MoltiVolti è un caso-studio perfetto di progetto di innovazione sociale focalizzato sull’inclusione e l’accoglienza. Ai più è conosciuto solo come un ristorante che offre piatti che mescolano culture straniere e cucina siciliana, preparati da ragazzi e ragazze di dieci nazionalità diverse. Il ristorante serve però a mantenere tutta la parte no-profit del coworking di MoltiVolti, che offre il proprio spazio gratuitamente a realtà che trattano gli stessi temi di accoglienza e diritti umani.
Al momento mi sto occupando di comunicazione, un ambito estremamente importante per promuovere le iniziative che MoltiVolti offre alla comunità: i progetti sono vari e di vario genere – dai concerti all’organizzazione di viaggi di turismo sostenibile – e sono quasi sempre svolti insieme a altre associazioni o imprese. L’impatto che ha sulla città di Palermo è quello di trasmettere il valore dell’accoglienza e di far sì che la città diventi un luogo in cui le diversità sono percepite non come una debolezza o una paura ma come un’opportunità. Questo porta a un’integrazione delle comunità straniere facilmente percepibile stando a Palermo.

In che modo il master ti ha aiutata ad affrontare questa nuova avventura e in cosa ti ha cambiata?
Il master, in più di un modulo, mi ha dato la possibilità di conoscere diverse realtà, di capire che la creazione di coworking, reti collaborative e associazioni per il sociale è qualcosa di fattibile e più diffuso di quanto si pensi, su cui ci si sta sensibilizzando e investendo, cercando i mezzi per mantenere in vita queste imprese. Il master mi ha fatto capire che direzione dare al mio futuro, che strada prendere.

Il ristorante di MoltiVolti
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Progettare per il turismo e per valorizzare il territorio: l’esperienza di Giudita Melis

Cosa fanno gli studenti di Relational Design dopo il master?
Dopo aver svolto lo stage curriculare a Casa Netural – incubatore, coworking e coliving con sede a Matera – Giudita Melis ha deciso di fondare una realtà analoga nella sua terra, la Sardegna. L’abbiamo intervistata.

Qual è il tuo percorso accademico e come sei approdata al master?
Ho iniziato i miei studi a Cagliari, la città dove sono nata, ma dopo l’Erasmus in Francia ho capito che difficilmente sarei rimasta ferma in quel posto e ho proseguito all’Università per stranieri di Perugia, con una laurea magistrale in Lingue moderne per la comunicazione internazionale.
Ho sempre approfittato di tutte le opportunità che uno studente ha di viaggiare, lavorare, studiare all’estero per due motivi:
– Muoversi, viaggiare, cambiare ti rende estremamente ricco!
– Ho capito di avere una forte dipendenza da viaggi e non riuscivo a farne a meno.
Ho poi scoperto il Master per caso su internet, leggendo l’intervista di un’ex-studentessa. Mi ha appassionato tantissimo e ho voluto saperne di più. Sentivo il bisogno di cambiare qualcosa, di scoprire qualcosa di nuovo in me che ancora non conoscevo. E così mi sono iscritta.


Il master prevede lo svolgimento di un tirocinio: cosa ti ha portato a scegliere proprio Casa Netural?
Grazie al master ho conosciuto una serie di realtà che mi hanno affascinato tantissimo e che hanno stimolato in me molte idee. Così ho approfondito la ricerca e, dopo aver letto e riletto, Casa Netural era quella che mi sembrava più autentica, più vicina a me e ai miei desideri e soprattutto a ciò che mi ero messa in testa di creare nella mia città, Cagliari.
Entrare a Casa Netural è come entrare in un vortice da cui poi è difficile staccarsi e che anche se ti allontani mantiene sempre la porta aperta. Lì ho conosciuto delle persone fantastiche: quelle che ci lavorano, quelle che vanno solo per i pranzi o le cene, quelle che passano per un fine settimana o per mesi e che vogliono imparare l’italiano. La cosa bella è che con ognuna di loro si riesce a creare dei legami speciali e sembra davvero di far parte di una grande famiglia. È una scoperta continua, un punto d’incontro e di scambio importantissimo in una città come Matera.
Perché Matera è così, non sai quello che trovi ma poi non vorresti lasciarlo mai. Non è solo la città dei sassi, la città-presepe, quella è solo la cornice: dentro è di una bellezza ancora più disarmante.


Di cosa ti sei occupata?

A Casa Netural mi sono occupata principalmente della comunicazione, prima affiancando Samuele, il responsabile della comunicazione, e gestendo poi autonomamente alcuni progetti – nello specifico: i social del Coliving, del progetto il Quartiere ri-luce e del festival Matera Design e del progetto sperimentale di rigenerazione urbana  Wonder Grottole. Quest’ultimo è stato quello che ho portato avanti fino alla fine del mio tirocinio ed è stato davvero interessante e coinvolgente poter collaborare nel mio piccolo alla rinascita del borgo di Grottole, aver gestito quasi interamente una campagna di crowdfunding e aver imparato davvero tanto dagli errori e dalle nuove sfide che si presentavano.

 

Sei di Cagliari e attualmente vivi  a Matera: ci sono delle realtà o progetti interessanti nel campo del design o della comunicazione al sud Italia che vuoi segnalarci?
Durante la mia esperienza a Casa Netural ho avuto la fortuna di scoprire un’altra realtà, Materahub, un consorzio che opera in ambito internazionale e supporta imprese, start-up, aspiranti imprenditori, istituzioni e organizzazioni attraverso progetti europei. Sono stati la mia “seconda famiglia”, ho iniziato la collaborazione con loro occupandomi della comunicazione dei progetti europei. Un mondo nuovo da un punto di vista professionale e che mi ha sempre incuriosito e affascinato. Il loro lavoro per la comunità locale è fondamentale perché, oltre ad avere un’ampia rete europea di progetti, hanno un’estrema attenzione per il territorio, per le persone, per le idee che aiutano con tanta professionalità a portare avanti, puntando sulla voglia di fare e sulla cultura all’imprenditorialità.
I progetti interessanti a Matera sono davvero tanti, soprattutto in vista del 2019, anno in cui sarà Capitale Europea della Cultura. Vi segnalo tutti quelli affidati a varie realtà locali in co-progettazione con la Fondazione 2019, naturalmente Wonder Grottole, l’Open Design School e l’iniziativa di un gruppo di giovani lucani che vogliono attivamente lavorare per il territorio e per i più giovani, chiamato appunto Generazione Lucana.


A chi consiglieresti Relational Design?
Consiglierei il master a chi vuole mettersi in gioco e/o ripartire con qualcosa di nuovo, lo consiglierei a chi ha bisogno di nuove idee per rigenerarsi, a chi non ha avuto la possibilità di viaggiare tanto, a chi sente che quello che sta facendo non è abbastanza e ha il desiderio di rinnovarsi, a chi ha bisogno di nuovi contatti e nuove prospettive.

 

Progetti per il futuro?
E qui arriva il bello.
Dopo un percorso di scoperta, dubbi e nuovi stimoli, è arrivato il momento di agire.
Già da un po’ di tempo sto lavorando a un mio progetto di coliving/coworking ed è questo il motivo che mi ha spinto a Matera, a Casa Netural, a vivere da vicino questa realtà, conoscerne gli aspetti positivi e negativi e imparare il più possibile in modo da poter poi lavorare sul mio progetto di coliving, che sorgerà a breve a Cagliari: da settembre tornerò infatti in Sardegna per far nascere Casa Melis, il primo coliving della regione. Ho scelto di chiamarlo così come segno di riconoscenza verso Casa Netural, che mi ha arricchito sotto mille punti di vista, mi ha dato nuove conoscenze, competenze, contatti, idee, ispirazione, che mi ha fatto incontrare delle persone fantastiche che hanno davvero lasciato un segno indelebile nel mio percorso professionale e personale, e verso Raffaele Vitulli di Materahub, grande fonte di ispirazione.
Voglio mettere in pratica la mia idea di turismo: mi infastidisce lo sfruttamento, il viaggiare senza uno scopo, senza prestare attenzione al posto dove si sta temporaneamente vivendo. 
Di conseguenza mi piace l’idea che chi viene nel posto che per me è casa possa trascorrere del tempo con le persone che davvero lo conoscono, possa davvero pensare di essere parte di quella comunità per un po’. Mi piace pensare che una persona possa avere il desiderio di viaggiare in un’isola come la Sardegna non solo per scoprire quanto è trasparente l’acqua o quanto è bianca la sabbia, ma anche per sapere che esiste un paesino nell’entroterra dove si creano delle maschere fantastiche che raccontano una storia, che la maggior parte dei paesi sono abitati da persone estremamente ospitali anche se a prima vista chiuse, che Cagliari è una città bellissima anche se non puoi trovare posti come il Colosseo o i Musei Vaticani, che ci sono delle tradizioni e che non devono essere snaturate o perdute.

Vi terrò aggiornata sui progressi di questo progetto di cui sono già follemente innamorata!