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Social TV: 3 domande a Fosca Salvi

Fosca Salvi è una progettista con un background in Comunicazioni Visive e Multimediali. Si occupa di progetti a cavallo tra il digitale e l’analogico, tra social media e formazione da Idlab Studio e cura Lapis, la Social TV della Scuola Superiore d’Arte Applicata di Milano.


1.  INTERACTION DESIGN FOR DUMMIES
Sei una interaction designer: ti occupi, cioè, delle interazioni uomo-macchina. Dobbiamo immaginarti a caccia di androidi come Harrison Ford in Blade Runner?
Direi che il mio lavoro non è esattamente lo stesso dell’agente Deckard, ma se ne vedono comunque di tutti i colori. L’interaction designer si occupa di progettare le interazioni tra un utente (l’umano) e un’interfaccia (la macchina). Questa interfaccia può avere forme e supporti diversi: ho progettato macchine del caffè con schermi 128×64 pixel, macchinari medici di altissima precisione, applicazioni per smartphone che controllavano elettrodomestici e una miriade di siti web. Negli anni il mio lavoro è cambiato molto, da “pixel-pusher” – come definiva i designer un mio collega olandese – sono diventata sempre di più la coordinatrice di progetti a cui lavorano altri “pixel-pusher”.


2. (VIDEO) CONTENT IS KING

Tra IG TV, Stories, TikTok, dirette streaming e da poco anche i Reels, da alcuni anni i contenuti video sono diventati i veri protagonisti dei social. Quali cambiamenti o evoluzioni ha portato il lockdown nell’utilizzo delle varie piattaforme?
Credo che il cambiamento principale lo si trovi nell’attitudine delle persone ad utilizzare queste piattaforme. Prima del lockdown si facevano una o due videoconferenze alla settimana, tutto il resto erano telefonate “normali” o incontri di persona. Ora se non si fa una chiamata con almeno altre due persone presenti in simultanea ci sembra di non star producendo abbastanza. Durante il periodo di quarantena c’è stato sicuramente un picco di entusiasmo nella fruizione di contenuti video (sia in videocall che in streaming), passavamo il nostro tempo davanti al computer 24 ore su 24. Poi pian piano le persone hanno risentito un po’ di questa sovraesposizione e hanno cercato di ridurre e spendere meglio il tempo passato davanti allo schermo, dedicandosi solo ad attività necessarie o veramente interessanti. Quello che ci è rimasto di questo periodo è però di grande valore: abbiamo capito che non è strettamente necessario recarsi sul luogo di lavoro per lavorare; la formazione ha subito un cambiamento drastico – secondo me in meglio – aprendosi a una moltitudine di nuove possibilità e siamo diventati tutti estremamente puntuali agli appuntamenti 🙂

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3. DO IT YOURSELF

Curi Lapis, la Social Tv di SUPER. Che consiglio daresti a chi vuole cimentarsi nella sua prima diretta streaming?
Verificare di avere banda!
Scherzi a parte, la diretta streaming è un mezzo velocissimo e semplicissimo per condividere ciò che si sta facendo. Se il contenuto è buono, l’unica cosa che a cui si deve prestare attenzione sono i mezzi tecnici a disposizione. È importante avere una buona connessione internet, cavalletto, microfono, una buona illuminazione, un’inquadratura che permetta di vedere in modo chiaro ciò che si sta facendo. Durante il lockdown abbiamo tutti fatto il pieno di lezioni di yoga e di fitness su YouTube: ecco, queste sono proprio l’esempio perfetto, qualità e tecnica altissime! Con Lapis non abbiamo inventato un metodo inedito di fare lezione, ma abbiamo applicato alla pittura e al disegno metodi già rodati in altre discipline. La parte più difficile, nel nostro caso, era il coordinamento dei docenti che, ognuno da casa propria e ognuno con mezzi diversi, doveva trasmettere online i propri saperi mantenendo una una buona qualità del contenuto video.


Il corso Super Social TV si terrà a marzo 2021, in modalità blended con didattica online e con un workshop a Milano, da SUPER, da giovedì 18 a domenica 21.
Scopri di più

Info e iscrizioni:
info@relationaldesign.it

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Relational Design is a mindset, a method – A chat with visual designer Nuphap Aunynuphap

From student, to intern, to founder of an independent publishing house: the last time with spoke with Nuphap, three years ago, he was a young designer who had just moved to Italy from Thailand to start a new adventure. He has accomplished many things since then. Now he has a very clear idea of what a contemporary designer needs to succeed in today’s world.

A lot of things have happened since you graduated: you founded your own publishing house, you started working at IdLab… tell us all about it!
When I was a Relational Design student, my initial thesis idea was to do a research about the publishing industry – specifically about how modern technology and connectivity have changed its operating and business model. From that point on it started to get more serious and – thanks to my thesis advisor Stefano Mirti and my thesis partner Silvia Lanfranchi – we ended up setting in motion a fully functioning publishing house that we named The New Publishing. The first thing we published and sold was one title called Visual Poetry. This publishing house became kind of the embodiment of our thesis research and findings, and we continued to work on it afterwards. We got lucky enough to get the chance to exhibit our works in different places and even got an award! We currently have two published titles (a bit slow, I know, but we still keep going!) and more titles in the works.
At the same time I also got a chance to do an internship at IdLab, working as a visual designer on various projects (communication, social media, education). To be honest, it was quite intense since I decided to do this internship while I was still studying for the master, but I think that this was also the beauty of it: you have to learn how to manage your time and energy (and, of course, get some rest!). I eventually got offered a full-time position and I’m still working here as we speak.

What is “Relational Design” to you? And in what ways do you think the master has helped you achieve your goals and/or has changed your approach to design?
I think Relational Design is more like an attitude, a mindset, a discipline to help us work and thrive in this present world where things are fast, more connected, constantly changing and unpredictable.
How could we adapt to this? How should we manage our focus and energy? How can we make the best use of new media? How can we collaborate and work together with other people in these situations? How to connect/reconnect tradition to innovation? How to be (more) curious and asks questions?
Relational Design doesn’t simply give you an answer to these questions, instead it sets up an actual work situation were we can train and improve ourselves so that we can better manage our projects in the future. And this is, I think, what I got out the most from the master: it made me see the world that we are living in now (especially the world of work) more clearly, and equipped me with experience and tools to handle it better.

Share some memories with us: what was your favourite course or activity experienced during the master?
I would say my favorite course is Code and Creativity with Marcel Bilurbina. I guess I’ve always had an interest in code and how it could be applied to the world of visuals. But my favorite moment was definitely Milanogram, an experimental workshop where we had to walk for three days around Milan, making small videoclips. We would set up camps and sit around campfires, go to new places and meet a lot of people. That was memorable!

Milanogram, marzo 2016


What are your plans for the near future now that you’re moving back to Thailand?
I plan to work on several new projects that I got offered in Thailand – mostly communication design projects. Nonetheless, I will keep working on The New Publishing and see how it can be improved by the new production force that I will try to rediscover once I get back Thailand.

The New Publishing at HOMI Smart
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Milano Print Makers: tecniche di stampa analogiche nell’era digitale

Lui è uno stampatore e incisore, molto legato alle tecniche di stampa tradizionali e impegnato nella loro salvaguardia; lei è una designer della comunicazione ed è Art Director dell’Officina Grafica di SUPER, la Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco. Insieme formano un blend perfetto di analogico e digitale: Marco Useli e Mariangela Savoia sono i docenti del workshop Milano Print Makers, in programma dall’11 al 15 dicembre 2019.


Marco, il workshop Milano Print Makers prende il nome dall’associazione di cui fai parte: di cosa si occupa e qual è il tuo ruolo al suo interno?
Milano Printmakers è nata innanzitutto per salvaguardare e rilanciare l’incisione e la grafica d’arte attraverso progetti e sperimentazioni capaci di proiettarla nel contemporaneo e nel futuro. Milano Printmakers ha un bagaglio importante legato a due generazioni di stampatori ed editori, motivo per cui rappresenta un punto di riferimento per gli artisti interessati alla grafica d’arte e per chiunque cerchi un servizio professionale di questo tipo a Milano ma non solo. Inoltre abbiamo un  forte interesse nella didattica, che coltiviamo con i corsi dedicati a diverse fasce d’età e diversi livelli di esperienza, e questo permette di avere sempre un certo fermento, di intrecciare relazioni, che è poi ciò che rende l’associazione un laboratorio culturale a artistico nel quale è possibile portare avanti il progetto delle residenze durante le quali gli artisti sono chiamati a sviluppare progetti che poi trovano ospitalità nei nostri spazi espositivi.

Marco Useli – Foto di Ivan Bravi

Come siete entrati in contatto con il mondo dell’editoria?
(Mariangela) Come professionista ho un background editoriale: fin da subito, una volta finita l’università, ho lavorato in una casa editrice specializzata in architettura, la Libria di Melfi in Basilicata. Questa esperienza ha influenzato definitivamente il mio approccio alla progettazione, tanto che ormai lavoro per “ritmi di lettura”. Ho avuto la fortuna di lavorare per una casa editrice relativamente piccola, cosa che mi ha permesso di imparare molto, non solo in ambito strettamente grafico.
(Marco) Io provengo dal mondo della stampa tradizionale, nello specifico dalla calcografia, una forma di stampa legata storicamente alle origini dell’editoria e che si sviluppa di pari passo con essa, anche se mi sono appassionato e specializzato soprattutto nell’ambito dei libri d’artista, un prodotto editoriale che coniuga una forte componente artigianale con un progetto artistico e con un intento di comunicazione che va oltre il contenuto ed è molto attento alla forma, con tutte le implicazioni che questo comporta, sia dal punto di vista progettuale che tecnico e realizzativo.


Mariangela, nel 2016 hai fondato
Orlobookzine di cultura pratica. Di che si tratta?
Orlo è un progetto nato del 2016; l’idea era quella di parlare di territori al margine. Ho raccontato di alcune regioni del sud Italia e di alcuni esempi di co-progettazione dal basso. Mi interessava parlare in un certo senso di “errore” e per questo la Risograph mi sembrava la tecnica di stampa più adatta alla sua realizzazione. Ho pubblicato la bookzine anche in digitale, perché mi interessava mettere a confronto due tecniche così lontane. Per certi versi sembrano due prodotti editoriali diversi, pensati per esigenze diverse. Successivamente il progetto è andato avanti sul blog per un po’. Ho scritto diversi articoli inerenti il paesaggio e le migrazioni ed ho preferito pubblicarli online.  Al momento sono al lavoro su un secondo numero cartaceo, su cui però preferisco non dare anticipazioni :-). Accanto a questo mi dedico alla legatoria artigianale e alla realizzazione di piccole edizioni, fanzine e taccuini.

Orlo – bookzine di cultura pratica

Parlando di Risograph, il workshop che terrete a dicembre all’interno del Master Relational Design in partnership con SUPER ha a che fare proprio con questa tecnica. In cosa consiste?
(Marco) La Risograph è innanzitutto un riproduttore di stampe a partire da file digitali o di piccole evoluzioni prodotte da scansioni della macchina stessa. Il processo di preparazione è molto simile a quello della più classica serigrafia, nella quale vengono preparati dei livelli da addizionare a registro per la realizzazione di un’immagine. Ciò che la caratterizza e che la rende piuttosto affascinante e divertente è il processo di produzione, molto più comodo e veloce rispetto ad altre tecniche di stampa. Ci si ritrova ad avere una piccola tipografia in poco meno di un metro cubo, con la possibilità di stampare su carte artigianali di varia grammatura con inchiostri ecologici, e matrici realizzate direttamente dalla macchina su carta giapponese. Diciamo che i limiti sono pochi e i vantaggi moltissimi.
(Mariangela) La Risograph è uno strumento per certi versi imprevedibile e per questo, a mio avviso, molto interessante. C’è sempre un margine di errore difficile da indovinare, ed è quello che la rende divertente. Nata come fotocopiatrice a basso costo, è uno strumento riscoperto dai creativi a partire dai primi anni del 2000. Attorno ad essa si è sviluppata una scena internazionale di grafici, illustratori ed editori DIY, affascinati dalla possibilità di stampare piccole edizioni o pezzi unici.

Risograph – Imperfection Booklet

Come credete che il mondo dell’editoria, nello specifico quella creativa, stia cambiando col mutare delle tendenze – fortemente digitalizzate – della comunicazione?
(Mariangela) È difficile dare una risposta precisa, perché gli scenari sono molteplici e si intrecciano inevitabilmente. Sicuramente il digitale ha cambiato le modalità di interagire con le informazioni e la loro disponibilità. Penso ai tanti esperimenti di libri interattivi, alcuni molto interessanti. All’altro estremo abbiamo il libro tradizionale; il digitale ne ha in qualche modo abbattuto i costi di produzione e facilitato la sua circolazione. Le tante piccole realtà indipendenti nascono anche grazie alle tecnologie più accessibili.
(Marco) Il momento di transizione che investe l’intero sistema della comunicazione richiede sangue freddo e mente lucida. Le possibilità offerte dal digitale hanno portato molti entusiasti a credere che l’editoria su carta fosse destinata all’estinzione, o che tutto si sarebbe trasferito sugli schermi dei telefoni, ovviamente non è così. Troppa immaterialità fa venire voglia di tenere qualcosa tra le mani, di sfogliare le pagine. In un sistema così fluido, in equilibrio precario tra omologazione ed esperienze uniche ma troppo spesso disperse in un mare troppo  vasto e troppo ricco, l’editoria creativa può approfittare di alcuni abbattimenti dei costi e di alcuni strumenti che permettono sperimentazioni accessibili sia per il pubblico che per i creatori. La risograph, ad esempio, è uno di questi eccezionali strumenti.


Potreste darci qualche altra anticipazione sul corso?
(Mariangela)  Durante il corso lavoreremo ad un concept per una piccola edizione da prodursi con la Risograph. Una volta individuato un format narrativo interessante, passeremo allo sviluppo del suo progetto grafico e alla realizzazione dei prototipi. Sarà molto divertente ma sarà necessario il lavoro di squadra. Lavoreremo insieme passando dal digitale all’analogico, curando i contenuti e la grafica della nostra pubblicazione.
(Marco) L’obiettivo è quello di mettere gli studenti in condizione di creare un proprio prodotto di micro-editoria. Puntiamo a trasmettere gli elementi essenziali per poter lavorare in modo sicuro e in autonomia con una macchina che è diffusissima in tutto il mondo e con la quale, molto probabilmente, diversi studenti avranno modo di confrontarsi altre volte. Anche per questo lavoreremo su una commessa esterna e daremo molta importanza al lavoro di relazione indispensabile per raggiungere gli obiettivi. 

Il workshop Milano Print Makers si terrà alla SUPER – Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano dall’11 al 15 dicembre 2019.
Per info e iscrizioni scrivi a info@relationaldesign.it

Mariangela Savoia
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“Gli eventi sono linguaggi”: intervista a Cristian Confalonieri, co-founder di Fuorisalone.it

Cristian Confalonieri è un designer della comunicazione e dei servizi ed è uno dei docenti della nuova edizione del Master Relational Design. Insieme a Paolo Casati ha co-fondato Studiolabo e creato Fuorisalone.it, la guida ufficiale della Milano Design WeekLo abbiamo intervistato.

La comunicazione è un fenomeno complesso: qual è l’approccio di Studiolabo?
La comunicazione è un fenomeno complesso e quindi l’obiettivo di un progettista della comunicazione è di semplificare, non lavorando semplicemente in sottrazione ma creando/usando alfabeti comuni, simboli e scenari condivisi. Si tratta di governare la complessità. Amiamo le simulazioni, per cui tentiamo di immaginare gli scenari d’uso, anche più improbabili, all’interno dei quali i nostri messaggi verranno veicolati. Ci vuole molta immaginazione, si torna bambini.

Da dove nasce l’idea di Fuorisalone.it?
Da una sera di 15 anni fa. Allora studenti di design, tornammo a casa una sera durante un Fuorisalone e con naturalezza cercammo su Google informazioni sull’evento per pianificare cosa fare il giorno successivo. Ma non trovammo nulla. E scoprimmo che il dominio Fuorisalone.it era libero e lo comprammo subito. L’anno successivo il mio socio si laureò con una tesi sulla comunicazione del Fuorisalone e realizzammo le prime versioni del sito, che non erano altro che blog in cui raccontavamo le nostre esperienze.
Oggi Fuorisalone.it è lo strumento online ufficiale per orientarsi tra gli eventi della Milano Design Week.

Ti occupi anche di marketing territoriale. Di cosa si tratta?
Da Studiolabo amiamo il digitale, ma anche l’aspetto territoriale è sempre stato elemento di studio. Rimaniamo sempre affascinati delle mappe. Per “marketing territoriale” si intende un sistema di progetti ed attività che ha l’obiettivo di sviluppare un territorio e di trasformarlo possibilmente in un brand. Abbiamo realizzato molti progetti: dal primo, BASEB in zona Bovisa a Milano, che ha anticipato il concetto di coworking in Italia, fino al nostro più grande successo, Brera Design District, che oggi è un brand internazionale.

Parlando di progetti, qual è il quello che ti sta più a cuore?
Tutti i progetti che abbiamo fatto e faremo senza committente: siamo autori oltre che consulenti. Per esempio il documentario su Pierluigi Ghianda o il gioco da tavolo del Fuorisalone sono due ottimi esempi di progetti che grazie ad un’ottima rete di collaborazioni hanno raggiunto risultati notevoli da ogni punto di vista.
Un altro progetto che mi sta a cuore sono le consulenze strategiche e di comunicazione che sviluppiamo per gli ospedali. Siamo fornitori dell’Ospedale Niguarda, del Policlinico di Milano e del Fatebenefratelli e avere a che fare con una sfera pubblica così importante per i cittadini è sempre motivo di grande impegno e responsabilità.

“Gli eventi come strumento di comunicazione” è il summer camp della prossima edizione del master: quali sono le potenzialità dell’evento come media al giorno d’oggi? Dacci anche qualche anticipazione sul corso!
L’evento è un media a tutti gli effetti, forse attualmente il più incisivo ed efficace per una ben definita famiglia di messaggi da veicolare. Ne abbiamo scritto approfonditamente in questo articolo su Medium.
Il Summer Camp che terrò a maggio 2020 è un laboratorio: ci saranno dei contenuti teorici ma l’aspetto fondamentale è che trasmetterò un metodo pratico per approcciare la progettazione degli eventi, che è particolarmente complessa perché richiede un lavoro in team molto ben organizzato. Propongo un metodo con l’intenzione però di lasciare la libertà a ciascuno di trovare il proprio, perché non esiste un modo univoco per sviluppare eventi. Durante il laboratorio in gruppi creeremo davvero progetti di eventi su brief reali di aziende.

Il workshop “Gli eventi come strumento di comunicazione” si terrà ad ABADIR dal 14 al 20 maggio 2020.
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La nuova edizione del Master Relational Design inizia il 1° ottobre 2019:
INVIA LA DOMANDA D’AMMISSIONE

Cristian Confalonieri e Paolo Casati

 

 

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BienNoLo, l’arte contemporanea che genera innovazione sociale. Intervista a Gianni Romano

Foto: Fabrizio Stipari

Dal 17 al 26 maggio 2019 negli spazi dell’Ex Laboratorio Panettoni Giovanni Cova a Milano si terrà la prima edizione di BienNoLo, la biennale d’arte contemporanea di NoLo, il distretto multietnico della creatività nella periferia nord-est di Milano.
Ne abbiamo parlato con Gianni Romano.

Che cos’è e come nasce BieNoLo?
Negli ultimi anni con ArtCityLab – associazione culturale che abbiamo fondato nel 2015 con Rossana Ciocca – ci siamo impegnati a realizzare progetti di arte pubblica, opere non “protette” da un contesto istituzionale o familiare, dal ristretto circolo del mondo dell’arte, ma esposte alla verifica del territorio, pronte a dimostrare una propria componente educativa o a non lasciare alcun segno, a durare soltanto lo spazio di un passaggio. L’esperienza maturata in questi pochi anni sul territorio milanese, la reazione di un pubblico che è sempre imprevisto, ci ha fatto capire quanto in realtà ogni città abbia bisogno di un ArtCityLab, di un laboratorio permanente, che faccia capire alle varie componenti istituzionali e professionali che innovazione culturale significa innovazione sociale.

Eppure Milano vista da fuori sembra un contesto privilegiato, dove succede di tutto, dove non mancano le proposte. Magari mancava una Biennale d’Arte?
Devo ammettere che questa è una domanda che mi fanno appena esco da Milano. Vivere in un centro urbano già ricco di iniziative non significa che non ci sia altro da fare. Una mostra come BienNoLo vuole dare visibilità ad un grande laboratorio culturale che raramente trova diritto di cronaca nel racconto della città modello che negli ultimi anni è diventata Milano. In ogni ambito della creatività si tende a guardare alla cima senza considerare che questa è il frutto di tantissime persone che contribuiscono ad arricchire quel campo. Se spostiamo l’attenzione dall’arte alla moda questo è ancora più evidente: da una parte i grandi nomi che sono sotto gli occhi di tutti, ma la base è molto larga ed è composta da persone e piccoli marchi che magari lavorano anche con grandi aziende e da altre che hanno vita propria e spesso per un pubblico giovane sono l’unica realtà frequentata. Insomma, non c’è altezza senza base. Curando questa prima edizione di BienNoLo abbiamo voluto restituire al grande pubblico l’immagine di una biennale che mira a registrare e presentare il lavoro svolto negli studi da artisti scelti grazie alle nostre conoscenze, alla loro attività degli ultimi anni, ma anche in base ai limiti che lo spazio della mostra pone a chi si appresta a lavorarci. Certamente le caratteristiche dello spazio industriale che ospita l’esposizione, la mancanza di corrente elettrica, grandi spazi senza tetto e la presenza di vegetazione spontanea, hanno costituito un motivo di selezione più forte di ogni moda corrente.

A proposito dello spazio espositivo, dicci di più sulla location scelta e sul quartiere che la ospita. 
L’ex Laboratorio Panettoni Cova, in una traversa di Viale Monza, è un bellissimo esempio di archeologia industriale. Si tratta di uno spazio già noto agli amanti del design durante il Salone del Mobile. È abbastanza complicato trovare un luogo adatto per tanti artisti, soprattutto se esci dai soliti luoghi nati per presentare mostre. Eppure la storia dell’arte è anche una storia di luoghi (non solo di città), dalle mostre degli impressionisti nello studio del fotografo Nadar a quelle negli appartamenti (tipiche di luoghi in cui manca un sistema dell’arte e che l’attuale crisi economica ha fatto tornare in auge),  dalle mostre nei garage a quelle nelle stanze d’albergo. Hans-Ulrich Obrist realizzò la sua prima mostra nel frigorifero di casa sua! Ogni luogo è deputato all’arte, purché la presenza dell’arte comporti una presenza di senso, perché l’arte sia contemporanea non serve solo presentare l’arte nuova, ma anche a ricordarci ciò che facciamo e ciò che siamo.

Tu sei uno dei quattro curatori: come avete lavorato al progetto?
L’idea di fare una BienNoLo nasce da un invito di Carlo Vanoni, al quale ArtCityLab ha aggiunto Matteo Bergamini. Carlo è autore teatrale e autentico divulgatore dell’arte, com’è evidente dai suoi spettacoli e dal libro A piedi nudi nell’arte appena uscito per Solferino Libri, ma anche dal modo in cui usa i social. Matteo Bergamini è direttore della rivista Exibart ma lo vedo in giro per gallerie da anni, è abituato al clima vivace dell’arte giovane per cui la curatela diventa quasi una pausa di riflessione… Ognuno di noi ha un suo stile che corrisponde al modo in cui ci siamo formati. Per una mostra come questa il vantaggio è stato quello di potersi dividere i compiti, mentre di solito il singolo curatore deve potersi fidare di assistenti capaci. La struttura curatoriale di BienNoLo non è piramidale invece, ci sono quattro curatori e una base di volontari che abbiamo diviso tra logistica, comunicazione e presenza sul campo. Lo spirito di collaborazione e il coinvolgimento del quartiere di Nolo sono la cosa più bella di BienNoLo: pensa che un gruppo di artisti si è associato nel progetto Habitat e quando la mostra chiude alle 20:00 loro aprono i propri studi al pubblico.

Il titolo di questa prima edizione è “eptacaidefobia”: cosa significa e in che modo si lega alle opere, alle installazioni e agli artisti presenti?
Eptacaidefobia è una parola greca. Sembra uno scioglilingua, ma si riferisce alla paura del numero 17. Proprio il 17 maggio c’è l’opening della mostra e quindi abbiamo preso questa fobia dal carattere folcloristico come esempio di tutte le paure, invitando gli artisti a mettere in scena una fobia contro qualsiasi tipo di paura. Naturalmente ci sono paure personali che diventano collettive, come accade alla cronaca dei nostri giorni, e altre che sono figlie di percorsi interiori.

BieNoLo si terrà dal 17 al 26 maggio 2019 negli spazi dell’Ex Laboratorio Panettoni Giovanni Cova, in via Popoli Uniti 11 a Milano.
Visita il sito ufficiale

Gianni Romano fotografato da Fabrizio Stipari
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Gli studenti internazionali di Relational Design: Marília Traversim Gomes

Da São Paulo (Brasile) a Catania per studiare Relational Design e poi a Milano per un importante opportunità di stage: Marília Traversim Gomes ci ha raccontato la sua esperienza – personale e professionale – all’interno del master.


What brought you to Italy?

In 2015 I came to Italy to visit my sister, who had recently moved to Sicily. At the time I worked as an assistant-editor in a big publishing house in Brazil but I wasn’t happy with it. As the editorial market slowly collapsed, I felt that my job position was getting more and more precarious and I couldn’t see any improvement or professional growth in the near future.
The trip to Sicily came right when I was thinking about the future, forced to accept the fact that I needed a change. Like everyone else I fell in love with Sicily – with its colors, the flavors, the people, mount Etna and the sea. “This is a place where I could be happy” I remember telling my sister, who suggested that I actually came to live there for a while. And so I did: I took this big leap of faith and started over.


How did Relational Design came into the picture?
I found out about it by searching online for design courses and events happening in Sicily. At that point I already knew that I wanted to live in Catania, it was just a matter of finding something that kept me busy and inspired! I particularly liked the fact that Relational Design not only allowed me to see how design was made across the ocean, but also gave me the opportunity to travel around Italy and to experience different aspects of this culturally and historically rich country.
It was just what I was looking for and now that is almost over I can honestly say that I had a great time! I just wish it was longer… I am not ready to say goodbye.


If you had to describe Relational Design in one word, what would it be?

Dynamic. Every month is completely different from the other: new subject, new teacher, new city, new students – new everything! In every module I learned something new, met new people,  made new friends and built a deeper bond with those that were already there since the beginning of this journey.


What was your favorite moment and why?
Since I come from an editorial background, I really enjoyed visiting Internazionale and Zero. It was really interesting to observe how magazines work in a different country. On an academic level, I loved the workshops in Palermo and in Amsterdam, because I had never studied service design before and everything was new to me.


Has the master changed you in any way?
Of course, it gave me a different perspective in a lot of ways. Professionally, it showed me different ways to make good design and how to mix and match different areas of knowledge and resources. On a personal level, it allowed me to experience a very international environment and to meet a lot of different people, with backgrounds very different than mine. I was able to share a bit of my culture with my colleagues and learn a little bit of theirs. Now I can say I have friends all over Italy.


What are you doing now or what are planning on doing in the near future?
I recently moved to Milano to work as an intern at Subito.it. Before doing the master I don’t think I would have been able to get the position. Relational Design played a really important part in the interview!
I plan on continuing to work as a designer in Italy. I don’t know exactly where this adventure will take me, but I am really happy about how far I have been able to go.

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Nuovi continenti, nuovi orizzonti, nuove opportunità – Gli studenti internazionali di Relational Design

Cambiare non solo città ma addirittura continente per inseguire i propri sogni e cogliere nuove opportunità: questa è la storia di Mirielle Esther Robles, architetto, volata da Panama a Milano per studiare Relational Design.

What brought you to Italy?
Being honest: my whole life dream, at first! I always wanted to come here just to be able to go around and learn the language. Then, the opportunity to work for an incredible project (999 domande) presented itself and it came with new professional experiences and an incredible team of people to work with, whom I can now call friends!
So far it’s been positively challenging: learning new things about the culture, the city, the people and being able to absorb it has made me a new person somehow. Milan is an amazing city! There is always something happening and as a design capital it keeps you always inspired!

 

What was your idea of the master before actually attending it and what do you think now that you’re at the end of the path?
At first, you focus yourself on the content or the topics of the workshops and modules but it’s only when you start to relate with the other students – and most importantly with the partners and companies you met in the process – that you discover the real thing: Relational Design is mostly about relationships and the people surrounding you and how much you can learn from them!

 

If you had to describe Relational Design in one word, what would it be?
Mobility!
It’s amazing how things change even from city to city (or even in between offices and work methodologies) and for me this is the best way to learn.

 

What was your favorite moment and why?
My favorite workshop in terms of activities was Creative Printing (Editoria Creativa: Analog vs. Digital) with Print Club Torino. And in terms of learning, Design for Urban and Social Innovation with PUSH in Palermo. But the thing I loved the most was being able to travel to a different city every month and to be able to discover it with my pals (and this is also what I miss the most now that it’s over!).

 

Has the master changed you in any way?
Yes! This experience had been a life-changing one, all of it!
After years of working properly on companies it hasn’t being easy to re-learn how to manage yourself in the way of discipline and time, and even now I’m still working on it which is good! Personally, I’m sure I’ll keep for the rest of my life the friendships that were born during this time, and this is unmeasurable!

 

Last but not least: what are you doing now or what are planning for the near future?
Thanks to the Master and the Erasmus+ Program I got an internship with Basurama in Madrid so I’m moving there soon! It is very exiting because I will get the opportunity to enlarge my professional experiences on a whole new level and I’m pretty sure this wouldn’t have been possible if I’d stayed back home in Panama.
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La nightlife nell’era digitale: il workshop di Folk Design da ZERO Milano

Giorni intensi quelli milanesi. E grigi.
Nel pieno dello stereotipo, ma in mezzo molto altro.

Vivo a Milano già da un po’ e per quanto mi riguarda Fondazione Prada delimita con il suo ruolo di “colonne d’Ercole” il fronte sud della città. Invece no, esiste tutto un mondo – a quanto pare – oltre quella barriera e in questo oltre c’è anche via Bernardo Quaranta dove al civico 40 si trova la redazione di ZERO, magazine di eventi e lifestyle che ci ospita per il workshop di Folk Design.

Le premesse però risalgono a qualche settimana prima, quando Alessandro Busseni, il nostro docente, nonché Art Director di ZERO, introduce il corso e il primo dei tre brief che andranno a completare il modulo.

Il tema d’indagine su cui i nostri sforzi si sono concentrati non è stato quello di santi e madonne, come il nome folk potrebbe far supporre: era inerente a un’adorazione diversa, più libertina ma non meno devota. Abbiamo infatti esplorato usi, costumi e tradizioni della comunità che vive attivamente le notti della città italiane.

CENTO – eroi del lunedì

Se i primi due brief volevano puntare l’attenzione su una fetta ampia di azioni e personaggi che gravitano intorno a questo mondo, una volta insieme davanti ad un tavolo e sotto le luci al neon abbiamo stretto il cerchio cercando di progettare un servizio che facilitasse e spiegasse la vita notturna di Milano.

Una parte importante del lavoro è stata anche capire chi fosse ZERO, cosa ha rappresentato per molto tempo e in cosa si sta trasformando con l’arrivo del digitale. Un’evoluzione che ha in qualche modo influito in ciascuno dei tre progetti presentati l’ultimo giorno. Ogni gruppo ha cercato infatti di capire quali fossero le esigenze e i problemi che riguardano la comunità ultra-tecnologizzata della notte.

La risposta si è concretizzata sotto forma di due applicazioni in grado di fornire assistenza o compagnia per la propria serata, post serata e prima mattinata; mentre il terzo gruppo ha analizzato la relazione tra un programma di eventi notturni e la comunicazione di questi sui social media.

Cento 02

E dopo aver ricevuto ognuno in regalo un DVD contenente lezioni di ballo latino americano – perché la danza è requisito fondamentale per il popolo della notte – si è concluso questo workshop, che poi è anche il mio ultimo workshop.

Concludo così, con l’augurio di una festa infinita e una citatazione per chi sa quanto è vero che:

«Anche oggi, si dorme domani»

Bruna Crapazano

CENTO instagram CENTO è un progetto a cura di Anna Amalfi, Bruna Crapanzano e Chiara Cameroni.

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Basic Design: nuovo workshop, nuovo scenario. Milano.

Nuovo workshop, nuovo scenario. Milano.

C’è chi giura di odiarla senza ritegno, ma di amore ne riceve anche incondizionatamente dai suoi ammiratori. Mi piace pensare che tra chi si lascia incantare e chi si convince di detestarla non c’è nulla in comune, se non il far parte di due facce della stessa medaglia. Per nulla arrendevole, Milano deve essere decodificata, bisogna capirne la cromia, il flusso, intuirne la “primadonna”, analizzare la storia che può esserci dietro una singola immagine nel momento in cui la scomponi. Insomma Milano è la sintesi di questo nostro nuovo percorso nel mondo del Basic Design.

Conosciamo il nostro nuovo docente appena arrivati. Un attivissimo Giovanni Anceschi ci attende a Base Milano, dove lavoreremo per due giorni prima di spostarci nello studio di IdLab passando per una breve sosta al Museo del 900.

Un caffè per tutti e poi cominciamo con la lezione… anzi no.  Non cominciamo con nessuna lezione, cominciamo con la pratica, con il primo dei 5 esercizi legati a grandi maestri del design.

La Scioltezza gestuale è il primo.

Ideato da Johannes Itten al Bauhaus, prevede che l’allievo si confronti con un grande foglio di carta e da li si faccia guidare da movimenti eleganti del suo braccio per creare immagini sinfoniche, utilizzando pastelli bianchi e pastelli neri.

Tomàs Maldonado è l’inventore della nostra seconda prova, Antiprimadonna.

Cartoncini colorati vengono tagliuzzati per tutta la stanza, il pavimento sembra un arlecchino in costruzione, c’è odore di colla e rumori di fogli.Non è facile autovalutarci ma alla fine siamo contenti dei nostri lavori e dalle parole che seguono, ci mettiamo in discussione e il risultato è il riconoscimento della soggettività.

Il Secondo giorno ci accoglie il Museo del 900, quarto piano, Arte cinetica. Giovanni Anceschi ci guida tra aneddoti della sua vita, personaggi che hanno segnato la storia del design e dell’arte di quegli anni con piccoli racconti.

Terzo giorno, sempre a Base diamo il via ad una nuova conversazione a proposito della nostra ultima esercitazione, Influenzamento dell’ordine di lettura, pensata dal nostro stesso docente. I risultati sono a volte furbi, a volte comici, a tratti indecifrabili, spesso strani.

Cominciamo a capire il significato di ciò che stiamo facendo, iniziamo a divertirci.

Il pomeriggio lo dedichiamo a Josef Albers, il quale ha escogitato il nostro nuovo esercizio, 4 colori con 3 colori, 3 colori con 4 colori.

Davanti ai nostri computer ci interroghiamo su cromie e tonalità, lavoriamo meticolosamente per ottenere risultati speriamo positivi, carichiamo i nostri lavori sulla community ed incrociamo le dita.

Sabato e Domenica, quarto e quinto giorno, siamo in via Cascia 6 nello studio di Idlab; ci adattiamo alla nuova location e cominciamo il nostro ultimo esercizio di cui la paternità va riconosciuta a Bruno Munari e Giovanni Anceschi, Narrazione per immagini.

Avete mai pensato, guardando una foto, quale storia stesse raccontando? Nella sua interezza o in frammenti differenti, chi erano quelle persone e cosa le aveva portate ad essere fermate in quell’esatto momento?

Ecco in parte quest’ultimo esercizio tenta di rispondere a queste domande sfruttando la nostra fantasia per creare storie diverse da una storia unica. Tagliando, riassemblando e riadattando secondo il nostro piacere, ciò che vogliamo dire, con una voce nostra, personale che è la base intrinseca di ogni progetto.

Stiamo per concludere, Giovanni inizia solo adesso quella che sarebbe dovuta essere la nostra lezione introduttiva e che invece si rivela essere la conclusione perfetta per trovare il significato che hanno avuto i nostri lavori degli ultimi giorni.

Siamo pronti a lasciare anche Milano; non io, io ci vivo. Guardo le facce dei miei compagni, abbiamo tanto discusso su ciò che è e ciò che non è in questi giorni. La base alla base del Basic Design. Senza oggettività. Appunto, due facce della stessa medaglia.

Bruna Crapanzano

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Da Bangkok a Milano – Gli studenti internazionali di Relational Design

Questa è la storia di Nuphap Aunyanuphap, volato da Bangkok a Milano per seguire il nostro master.  Buona lettura.

Nuphap in three words

Visuals, Machines, Dreams.
My name is Nuphap Aunyanuphap and I’m from Bangkok, Thailand. I’m 26 years old and I was born in a Thai-Chinese family with three brothers. My parents have influenced my life in many ways, but mostly on how to be a good and respectful person.

Passions that I have developed since childhood

Since I was a child I have always been able to spend countless hours drawing robots and assembling legos. I like very much to make and do things.
Growing up, I began to like very much playing video games (I still do). However, I later discovered that this passion strongly influenced me to be engaged with the digital and multimedia realm, something I found quite useful later in my career.

From architecture to communication

The passion to make and do things led me to study architecture at university, where I had a great time learning about design and architectural topics and also doing projects. However, while studying, I also got very much into communication, always trying to find new ways to make and communicate things: I made presentations and diagrams, I joined an end-of-year publication team, I designed posters… Then, after graduating and working for a while in the architecture field, I convinced myself to do what I knew I was passionate about the most: making projects and communication. After that, I’ve practiced infographics and information design for three years, something I found extremely challenging yet super rewarding.

Master Relational Design: an ideal opportunity for design graduates and for people who want to improve their relational and management skills

After three years of doing so, I decided that it was time to go further and explore the boundaries of communication. And with the great advice of my professor back in Thailand, I was introduced to Relational Design, a course that provided me with the great opportunity to take my interests further and to meet a lot of new interesting people and professionals.
I think Relational Design’s online/offline teaching method is a great way to train us to be professional designers in the current working environment. Its strength – which is also a challenge – is that we can manage our time in a way that allows us to follow the online part of the courses while we work.
It is here that we have to learn how to manage our energy in order to acquire new skills and learn new things (specifically, a new topic for each module) and to develop ourselves – a very important discipline required in this ever changing world.

During the master there are funny moments too!

During the visual storytelling course I got the opportunity to analyze a student’s pinterest moodboard and, viceversa, one of my colleagues made my characterization sheet. It was so funny!
I think it partially reflected my personality: some aspects were spot-on, others weren’t. I think the way we see ourselves and the way other people see us are of course different (which is super interesting!). However, she did manage to catch the keywords of “dreams” and “possibilities”, which are things that match very well what I think of myself.

My favorite social network?

Even though Facebook is what I use the most (since everyone is using it for everything), my favorite social network is Instagram. The main reason is that it tells the story of someone/something mainly through photos and visuals. There is not so much else to see, but I think that’s beauty of it. Also, as a visual designer, I like to play (and do research) with its constraints and possibilities. Great fun!