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Claudia Busetto e Vincenzo Di Maria: dai prodotti alle esperienze, service design e relazionalità

Claudia Busetto e Vincenzo Di Maria sul tema del Service Design in vista del Summer Camp a Siracusa: dai prodotti alle esperienze, un percorso strettamente legato ai cambiamenti socio-economici dell’età contemporanea.

Claudia Busetto e Vincenzo Di Maria sono i fondatori di commonground, un’organizzazione che porta il design e la progettazione incentrata sull’utente in ambiti di innovazione sociale; saranno nostri docenti per il Summer Camp – Relational Service Design, negli spazi di Impact Hub Siracusa, dal 17 al 24 giugno.

 

Service design: quando e perchè l’interesse si è spostato dai prodotti alle esperienze?

In sintesi, compriamo meno prodotti da possedere e consumare e accediamo a più servizi o paghiamo più volentieri per esperienze da vivere.

È un percorso strettamente legato ai cambiamenti socio-economici dell’età contemporanea, come il boom economico degli anni 60 ha promosso il design industriale così la crescente importanza del settore terziario ha aperto la strada al design dei servizi. I prodotti non sono scomparsi, ma è aumentato il contorno, la cura del dettaglio e dell’esperienza dell’utente, e i consumatori stessi sono diventati più esigenti.

In Italia oggi i servizi rappresentano il settore più importante dell’economia, sia per numero di occupati che per valore aggiunto, e la tecnologia e internet hanno amplificato questo processo in atto, permettendo la nascita di servizi sempre più smaterializzati: l’home banking, i negozi di e-commerce, fino ad arrivare a piattaforme come netflix in cui non c’è nessuna componente che si possa toccare, ma allo stesso tempo è altissima la richiesta di customizzazione e cura dei dettagli.

 

Quali sono, a vostro avviso, i settori che oggi, più di altri, avrebbero bisogno di questo cambio di prospettiva?

Vivendo in Sicilia viene facile pensare ai servizi infrastrutturali: i trasporti, la ricettività, ma anche tutti i servizi che ruotano intorno all’esperienza turistica, dalle proposte enogastronomiche ai percorsi esperienziali. Ma sono anche i settori in cui più facilmente si sperimenta, perché ci sono clienti pronti a pagare per esperienze sempre più personalizzate e servizi più funzionali. La vera sfida è nella progettazione dei servizi pubblici, dove non abbiamo utenti-clienti, ma cittadini: eppure sono i contesti in cui la progettazione ha un impatto enorme, perché riguarda milioni di persone, con effetti che si riverberano su intere famiglie. Pensiamo per esempio ad azioni comuni e diffuse come fare le analisi del sangue, iscrivere il figlio a scuola, pagare le imposte, quante volte è facile trovarsi intrappolati o bloccati nei meandri della burocrazia o in situazioni intricate? La progettazione non può risolvere tutti i problemi, ma può sicuramente aiutare a migliorare le cose.

E poi ci sono i settori in cui tutto è davvero da costruire, come le esperienze di emergenza sociale e culturale: pensiamo per esempio a tutto ciò che ruota intorno ai fenomeni di migrazione e ai salvataggi in mare, fino ai servizi carenti nelle strutture di prima assistenza. In questi contesti si parla di service design in ottica meno commerciale e si entra nell’ambito dell’innovazione sociale, un mondo in cui il buon design (quello per cui si pagano i professionisti) può portare tanto valore e avere un impatto enorme.

 

Un’anticipazione di quello che approfondiremo durante il vostro Summer Camp: se doveste scegliere un progetto di servizio collaborativo e partecipato dell’ultimo anno come il più interessante e innovativo, quale sarebbe?

Come vedremo durante il summer camp esistono diversi gradi di “relazionalità” all’interno di un servizio: i servizi relazionali al 100%, quelli in cui fornitore e fruitore del servizio e il fuitore coincidono, sono in realtà una minoranza, ma sono sicuramente i più complessi e allo stesso tempo i più delicati, perché si fondano sull’idea che tutti rispettino certe regole, ma allo stesso tempo permettono una libertà di interpretazione e comportamento estreme. Se nei servizi tradizionali il cliente ha sempre ragione è anche perché il fornitore si attiene a regole ferree, ma cosa succede quando dall’altra parte c’è una persona come noi? Progettualmente si possono controllare e prevenire le agenzie immobiliari mascherate su airbnb, ma non per esempio la scortesia di un autista di Uber, o le recensioni bugiarde su tripadvisor. Per un progettista è molto stimolante osservare i risvolti inaspettati, analizzare i mille modi in cui le persone possono usare o abusare di un servizio.

Un servizio relazionale al cubo è https://gnammo.com/, o in generale le piattaforme di social eating, perché il valore dell’offerta non è legato solo al cibo, ma a qualcosa di profondamente immateriale come il piacere di mangiare insieme: paghiamo per una cena, ma anche per un potenziale nuovo legame con una persona, per un’esperienza speciale che magari si ripeterà. E se pensiamo al social eating è interessante notare che non si tratta di idee “nuove”, perché per esempio i Paladar (ristoranti casalinghi) sono diffusi a Cuba da almeno 30 anni, permettendo a molte famiglie di sostentarsi aggirando la crisi economica, e ai turisti di avere un assaggio di vera atmosfera locale. Insomma il bisogno di socialità o di sharing economy c’è forse sempre stato, quello che cambia oggi è il ruolo della tecnologia, che amplifica e avvicina, rendendo sempre più facili e accessibili le interazioni.
Claudia Busetto & Vincenzo Di Maria, commonground